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le indagini

«Due donne fatte sparire dal clan». Minacce e finti avvelenamenti: le accuse ai Lo Giudice

I racconti di due pentiti e i legami con la morte di Angela Costantino, moglie del boss. «Murerò tuo figlio come ho murato mia moglie»

Pubblicato il: 07/04/2021 – 9:47
di Giorgio Curcio
«Due donne fatte sparire dal clan». Minacce e finti avvelenamenti: le accuse ai Lo Giudice

TERNI Un lungo elenco di indizi e ricostruzioni che disegnano un quadro che appare compromettente, al punto da spingere il gip del Tribunale di Terni ad emettere l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Roberto Lo Giudice, e di iscrivere nel registro degli indagati anche il fratello, Maurizio, rispettivamente classe  ’72 e ’76, di Reggio Calabria, ed entrambi considerati i responsabili della morte e scomparsa di Barbara Corvi, avvenuta nel 2009, e della quale non è stato più ritrovato il corpo.  Un episodio, come è già stato sottolineato in più di una circostanza, del tutto simile a quanto avvenuto ad Angela Costantino, moglie del boss di ‘ndrangheta Pietro Lo Giudice, fatta scomparire ed uccisa nel marzo del 1994 «rea di tradimento ai danni del coniuge per mano di componenti del clan Lo Giudice». 

Le dichiarazioni del pentito Villani

Il riferimento alla scomparsa di Angela Costantino e alla correlazione con l’omicidio di Barbara Corvi salta fuori anche dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Consolato Villani, braccio destro di Nino Lo Giudice, rese in sede di interrogatorio il 30 settembre 2020, e riportata nell’ordinanza del gip del Tribunale di Terni, Simona Tordelli. È lui a riferire – è scritto nell’ordinanza – di «aver incontrato Roberto Lo Giudice nei pressi del negozio di frutta di Giuseppe Reliquato sia nel mese di ottobre del 2009 sia nell’estate del 2010 a Reggio Calabria». Villani avrebbe riferito ai giudici di «aver appreso proprio da Reliquato che era scomparsa un’altra donna della cosca Lo Giudice, facendo riferimento proprio alla moglie di Roberto Lo Giudice, e cioè Barbara Corvi, insieme ad Angela Costantino, perché lui capisse che anche Barbara aveva fatto la stessa fine». Ricostruzione ritenuta attendibile dai magistrati perché verificata nel corso dell’attività investigativa e perché, inoltre, lo dichiarazioni di Villani «non appaiono frutto di astio nei confronti dei fratelli Roberto e Maurizio Lo Giudice».  Le dichiarazioni rese da Villani verranno però smentite dallo stesso Reliquato ma, secondo i giudici, la sua reticenza «ben si potrebbe spiegare tenuto conto che egli è ancora intraneo al circuito di ‘ndrangheta e si trova recluso nel carcere di Voghera proprio per associazione mafiosa». 

I legami con il caso Angela Costantino

Un altro parallelismo con il “caso” Angela Costantino emerge anche dalle dichiarazioni di Salvatore Lo Giudice, figlio di Roberto. È lui a riferire agli inquirenti che, «durante la sua permanenza a Reggio Calabria da novembre 2009, subito dopo la scomparsa della madre, il cugino Salvatore, figlio di Angela Costantino, gli disse testualmente «”mia madre, come la tua, è morta” e lo aveva abbracciato». 

«Murerò tuo figlio come ho murato mia moglie»

Non meno importanti sono, invece, le dichiarazioni di Federico Greve, altro collaboratore di giustizia, rese lo scorso 21 gennaio 2021, e al quale proprio Roberto Lo Giudice avrebbe detto «murerò tuo figlio se continua così come ho murato mia moglie». Greve, un tempo gravitante nella stessa cosca di Nino Lo Giudice, è l’ex marito dell’attuale compagna di Roberto Lo Giudice, con la quale convive proprio ad Amelia, portando con sé il figlio di Greve, Giulio. E, proprio nel corso delle sue visite in Umbria, racconta Federico Greve, avrebbe discusso con Roberto Lo Giudice il quale, «lamentandosi del comportamento del figlio – è scritto nell’ordinanza – maleducato, buono a nulla e tossicodipendente, gli avrebbe detto che, se non si fosse ravveduto, rispettando le regole, lo avrebbe murato vivo, cioè lo avrebbe ucciso».

Il falso avvelenamento 

Gli incontri tra il padre e il nuovo compagno della madre verranno confermati da Giulio Greve, ma non ha riferito nulla agli inquirenti in merito al possibile omicidio di Barbara Corvi, anche perché secondo i giudici lo stesso Greve temeva ritorsioni da parte di Roberto Lo Giudice. Ad ulteriore conferma del timore nutrito nei confronti di Lo Giudice, c’è l’episodio del presunto tentativo di avvelenamento di Roberto Lo Giudice. Giulio Greve, infatti, avrebbe riferito alla Questura di Padova, nel novembre 2020, di «aver agito su mandato dei parenti di Barbara Corvi, il padre Roberto e la sorella Monica». L’episodio è stato poi archiviato e, nel corso di un altro interrogatorio, Greve ha precisato di «aver sporto denuncia sotto effetto di alcool e di sostanze stupefacenti, per poi, in sede di confronto con il padre, ammettere di essersi inventato tutto su ordine di Roberto Lo Giudice». Nella stessa circostanza Giulio Greve spiegherà che era stato proprio Lo Giudice nell’estate del 2020 «a chiedergli un favore, ovvero quello di dire falsamente ai Carabinieri di Amelia che lui stesso sarebbe stato autore di un tentativo di avvelenamento ai suoi danni, commissionatogli dai parenti di Barbara i quali, in cambio di ciò, gli avevano promesso del denaro». Secondo gli inquirenti si tratta di un vicenda «molto significativa perché evidenzia non solo l’abilità di Roberto Lo Giudice di strumentalizzare le persone a lui più vicine per i propri interessi, ma soprattutto il tentativo di inquinare indirettamente le prove del presente procedimento». (redazione@corrierecal.it)

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