LAMEZIA TERME Utilizzo corretto delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nella logica che la Calabria, all’interno del Mezzogiorno, potrà contribuire allo sviluppo dell’Italia intera. Ed ancora un “modello di sussidiarietà” tra Stato e Regioni per aiutare il Sud a crescere. Giovanni Toti, fondatore del movimento “Cambiamo” e presidente della Regione Liguria in arrivo domani in Calabria per sostenere la candidatura di Roberto Occhiuto a governatore della regione delinea al Corriere della Calabria la strategia per rilanciare il sistema produttivo calabrese. «Basta logiche del passato», dice il presidente con una robusta esperienza di giornalista alle spalle, e sul futuro della sua creatura, “Cambiamo”, annuncia: «saremo la vera sorpresa di queste regionali».
Presidente arriva in una Calabria devastata dalla crisi economica che si è abbattuta su tessuto socio-economico storicamente fragile. Con quale ricetta il centrodestra conta di far intraprendere un percorso non solo di ripresa dall’emergenza pandemica, ma di sviluppo reale?
«È impensabile in questo momento delineare una ricetta per i prossimi anni senza tener conto del Pnrr. Il Piano rappresenta infatti per il Sud un’occasione particolarmente importante dal momento che il Mezzogiorno è l’area del Paese con il maggior differenziale di sviluppo e, di conseguenza, con il maggior potenziale di crescita. I titoli dei capitoli parlano di resilienza, di turismo, di salubrità: sembrano scritti apposta per un territorio come la Calabria. La sfida sarà riempirli di contenuti e la nostra squadra è già al lavoro per individuare a livello regionale priorità e strategie, per impedire che queste ingenti risorse non facciano la fine delle politiche per il meridione del recente passato, con fondi non spesi o sparpagliati a pioggia secondo logiche assai lontane da quelle dello sviluppo della produttività».
La Questione meridionale non può essere un tema che interessa solo la Calabria ed il Sud, ma è un problema italiano. Il crollo della domanda interna decisamente più accentuata al Sud dovuta alla pandemia ne è stata una sorta di comprova. Lei resta ancora convinto che l’autonomia regionale potrebbe aiutare la Calabria?
«Come già accennato, la questione meridionale è una questione nazionale. Non soltanto perché il Sud è una componente geograficamente e demograficamente importantissima del Paese, ma perché proprio il gap che si registra su diversi indicatori consente margini di crescita che possono incidere fortemente sul trend dell’Italia intera. Quanto al tema delle autonomie, diciamoci la verità: l’esperienza della pandemia ha evidenziato le luci e le ombre del nostro regionalismo, e soprattutto i tanti aspetti da correggere nel rapporto fra Stato e Regioni. Personalmente credo nel modello della sussidiarietà: lo Stato deve modulare l’entità e la tipologia della propria presenza a seconda delle esigenze dei diversi territori, sapendo che – come la vicenda del commissariamento sanitario dimostra – la centralizzazione non è certo una bacchetta magica. In particolare, nel Mezzogiorno lo Stato dovrebbe preoccuparsi di creare le condizioni per attrarre investimenti produttivi: infrastrutture, sicurezza, formazione del capitale umano. Per questo la sfida del Pnrr è un’occasione unica».
C’è poi in atto soprattutto in Calabria una fuga di cervelli attratto dai territori più ricchi a partire dalle regioni del Nord. È un fenomeno che danneggia l’economia locale anche in prospettiva futura. Come contrastarlo?
«Difficilmente quando si lascia la propria terra di origine lo si fa volentieri o a cuor leggero. Creare il contesto e le opportunità perché le nuove generazioni avvertano lo stimolo di contribuire alla crescita del luogo nel quale sono nate e cresciute dovrebbe essere il primo obiettivo di una classe politica. E in una regione come la Calabria, che vive questo problema più di tante altre, ciò è particolarmente vero. Le comunità calabresi sono solite farsi notare in ogni parte d’Italia per il vitalismo, l’intraprendenza, la voglia di ascesa sociale, la forza di volontà. A volte il contraltare è una tendenza a piangersi addosso per i tanti problemi di questa terra meravigliosa. Noi vorremmo dare un contributo a risolverli. Iniziando proprio dalla formazione del capitale umano».
Passando ai temi della campagna elettorale che si è aperta in Calabria. Perché “Cambiamo” ha deciso di sostenere Roberto Occhiuto?
«“Cambiamo” è parte integrante della coalizione di centrodestra, sia nei tavoli nazionali che nei territori, e si prefigge di rivitalizzare un’area potenzialmente decisiva e oggi sottorappresentata. Il nostro lavoro di radicamento sul territorio calabrese è iniziato ben prima della tragica scomparsa della compianta Jole Santelli che ha portato alla convocazione delle nuove elezioni regionali. Ne è prova, ad esempio, il risultato lusinghiero che abbiamo conseguito al Comune di Reggio Calabria. Per noi si è trattato dunque del naturale proseguimento di un percorso già intrapreso e nei vertici di coalizione abbiamo partecipato alla definizione della candidatura di Roberto Occhiuto, che riteniamo all’altezza della sfida non solo delle elezioni ma soprattutto del governo regionale in un momento così decisivo».
Quale sarà il vostro “valore aggiunto” nel progetto della coalizione per aiutare la Calabria ad uscire dalla marginalità in cui si trova?
«Una forza pragmatica e concreta, la forza del buonsenso e del buon governo, che sa trasformarsi in azioni. Non è un caso che la principale iniziativa programmatica di “Cambiamo” in Calabria non è stata la redazione di un libro dei sogni o delle solite fumose promesse, ma un documento dettagliato per un impiego proficuo del Recovery Fund sul territorio».
Come nuova formazione politica vi state dotando di una struttura territoriale anche in Calabria. Quali sono stati e quali saranno i criteri di selezione della vostra classe direttiva?
«Il nostro partito ha dimostrato fin dal primo momento una grande attrattiva nei confronti degli amministratori territoriali, categoria alla quale anch’io sono fiero di appartenere, e dei militanti stufi tanto della politica dei “like” quanto di una politica autoreferenziale impegnata più nella conservazione delle poltrone che nella costruzione di un futuro aperto. Su questa base, in Calabria come altrove, la strutturazione della classe dirigente segue un criterio di rappresentatività, consenso, trasparenza, competenza. La nostra è una realtà inclusiva e selettiva al tempo stesso, democratica e meritocratica. Sul territorio si è strutturato un gruppo molto promettente, e siamo certi che rappresenteremo la vera sorpresa delle prossime regionali. In tutti i sensi: stiamo crescendo ancora e il mio auspicio è che la nuova formazione alla quale stiamo dando vita con Luigi Brugnaro, “Coraggio Italia”, schieri già in Calabria le proprie insegne».
C’è un tema molto sensibile a queste latitudini: l’infiltrazione criminale all’interno degli apparati politici. Come vi state attrezzando affinché tra le vostre fila non ci siano “impresentabili”?
«L’attenzione alla qualità della rappresentanza politica, che non significa giustizialismo ma legalità e senso delle istituzioni, è un imperativo categorico particolarmente vincolante in un territorio come la Calabria. La nostra attenzione è stata e continuerà a essere massima, sapendo che gli strumenti a disposizione di un partito politico non sono quelli di una centrale di Polizia ma che una prevenzione efficace è possibile. Il lavoro fin qui portato avanti dovrebbe aver reso chiaro anche alla criminalità che da noi deve stare alla larga». (r.desanto@corrierecal.it)
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