ROMA Il mercato del lavoro dovrà essere rivitalizzato per permettere la piena sostenibilità del sistema previdenziale. Sarà necessario introdurre meccanismi nuovi visto che né l’introduzione del reddito di cittadinanza né la previsione della pensione anticipata utilizzando il sistema di quota cento hanno centrato quell’obiettivo. In sintesi è il messaggio che Pasquale Tridico, presidente dell’Inps ha lanciato nel corso dell’annuale relazione sullo stato di salute del maggiore istituto previdenziale italiano. Secondo i dati forniti dal report, infatti quel mercato del lavoro nonostante quei due importanti provvedimenti – nati allo scopo principale di creare nuovi posti di lavoro – è rimasto completamente ingessato. Complice anche la devastazione creata dalla crisi pandemica a cui l’Inps ha dato risposte importanti. «L’operato dell’Inps – ha sottolineato a questo proposito Tridico nel corso della presentazione del XX Rapporto annuale dell’Inps – il suo impegno per erogare correttamente sostegni a milioni di nuovi utenti nell’emergenza pandemica, insieme ai cambiamenti messi in atto per attivare prestazioni molto diverse, in modo massivo e innovativo, ha generato un profilo in parte nuovo per questo Istituto al servizio del Paese».
E i numeri di quell’impegno sono sostanziali. Gli interventi messi in atto dall’Istituto hanno raggiunto oltre 15 milioni di beneficiari, pari a circa 20 milioni di individui, per una spesa complessiva di 44,5 miliardi».
Dalla relazione emerge che sono stati assistiti 4,3 milioni di lavoratori autonomi, professionisti, stagionali, agricoli, lavoratori del turismo e dello spettacolo; 6,7 milioni di lavoratori dipendenti in cig, per una spesa complessiva di 23,8 miliardi; 210mila disoccupati che hanno fruito del prolungamento del trattamento di disoccupazione (Naspi); 515mila famiglie cui è stata assicurata l’estensione dei congedi parentali, 850mila che hanno fruito del bonus baby-sitting e 722mila con gravi difficoltà economiche che hanno beneficiato del Reddito di emergenza; 216mila sono stati i bonus per i lavoratori domestici e 1,8 milioni i nuclei familiari (circa 3,7 milioni di individui) che hanno ricevuto il Reddito o la Pensione di cittadinanza, strumenti, ha affermato il presidente dell’Inps, che hanno «contribuito a ridurre il rischio di tensioni sociali».
L’emergenza pandemica ha generato guasti importanti sull’economia reale. Ad iniziare dal mercato del lavoro e dunque anche al sistema dei salari dei cittadini. Creando nuove «disparità». I numeri del report fanno infatti emergere che a fronte di una retribuzione media annuale dei dipendenti pre-pandemia pari 24.140 euro, nel corso del 2020 (l’anno dell’epidemia) i salari sono scesi a 23.091. Una perdita di oltre mille euro legata al crollo delle ore lavorate e al ricorso alla Cig. Ma le sperequazioni ci sono state tra i lavoratori dipendenti e i dipendenti autonomi. Questi ultimi hanno potuto beneficiare di minori aiuti. Generando così una diseguaglianza di trattamento. «Il gruppo di dipendenti – sottolinea Tridico – per i quali la sospensione dal lavoro risulta massiccia è infatti identificabile come il gruppo collocato in cig per almeno 10 mesi e con una quota complessiva di cassa superiore al 60% delle ore lavorabili: si tratta di 310.000 dipendenti, per i quali il numero di ore integrate nel periodo osservato ha superato quota 1.000».
«Se ci focalizziamo – fa notare – sulle aziende stabilmente presenti nel periodo pandemico da marzo 2020 a febbraio 2021, pari a 1.267.000 imprese, il 43% (pari a 541.000 imprese) non ha mai usufruito di cig, il 18% (227.000 imprese) ha fatto ricorso alla cig esclusivamente nella fase più severa del lockdown nella primavera 2020 e il 17% (211.000 imprese) ha avuto qualche trascinamento comunque esauritosi nel corso del 2020. Vi è quindi un residuo 22% (288.000 imprese), che corrisponde al 26.5% dell’occupazione, facente ancora ricorso alla cig e che presumibilmente non è riuscita ancora a risollevarsi dalla crisi pandemica».
«Dalle analisi Inps, in particolare sul sostegno offerto ai lavoratori autonomi e ad alcune categorie di lavoratori dipendenti, emergono alcune evidenze. Si tratta delle indennità di 600 e 1.000 euro, per le quali nel corso del 2020 complessivamente sono stati effettuati 8.8 milioni di pagamenti per un importo complessivo di quasi 6 miliardi di euro, di cui le erogazioni per autonomi e stagionali superano il 70% del totale».
La soluzione, secondo Tridico, potrebbe essere quella di introdurre il meccanismo di salario minimo garantito.
Quota 100 nonostante i costi per la finanza pubblica non ha generato alcun movimento in ingresso. A questo proposito, Tridico, dopo aver evidenziato i costi della misura “sperimentale” ha evidenziato che «rispetto agli impatti occupazionali attraverso la sostituzione dei pensionati in Quota 100 con lavoratori giovani, un’analisi condotta su dati di impresa non mostra evidenza chiara di uno stimolo a maggiori assunzioni derivante dall’anticipo pensionistico». Dunque un flop che fa il paio con il reddito di cittadinanza. Visto che «i due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari del Reddito di cittadinanza, di cui un quarto minori – ha detto Tridico – non risultano presenti negli archivi degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019, e sono quindi distanti dal mercato del lavoro e forse non immediatamente rioccupabili». Tanto da far concludere a uno dei sostenitori della misura cara i 5Stelle che «l’occupabilità dei percettori di RdC, purtroppo, è molto scarsa».
Dopo l’archiviazione di quota 100 che non ha neppure centrato l’obiettivo del ricambio generazionale, nonostante l’elevato costo per le casse pubbliche, servirà mettere mano nuovamente al sistema delle pensioni. Tra le ipotesi in campo cioè quella di poter andare in pensione con 41 anni di versamenti contributivi a prescindere dall’età, Tridico l’ha bollato come «più costosa». Secondo i calcoli degli analisti dell’Istituto verrebbe a costare 4,3 miliardi nel 2022 fino ad arrivare a 9,2 a fine decennio. Si tratta, ha evidenziato il presidente dell’Inps dello «0,4% del prodotto interno lordo». Meno onerosi gli altri due sistemi: cioè quello che valuta l’età 64 anni con 36 anni di contributi e l’ultimo con 67 anni la quota retributiva e 63 anni quella contributiva. Quest’ultima costerebbe, secondo quanto riferito da Tridico, «meno di 500 milioni nel 2022 e raggiungerebbe il massimo costo nel 2029 con 2,4 miliardi».
Ma il vero discrimine, secondo il presidente dell’Inps dovrà prendere in considerazione il tipo di lavoro. Visto che allo stato attuale con un’età di pensionamento uguale per tutti si stanno generando evidenti disparità. «I cittadini con le pensioni più basse e che vivono meno a lungo – denuncia Tridico – finanziano i cittadini con le pensioni più alte che vivono più a lungo». Come dire una versione di Robin Hood svolta dal sistema previdenziale al contrario. (rds)
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