«Il fallimento delle regioni raccontato da Ambrogio e Veltri»
«Sull’utilità delle regioni il giudizio troncante l’ha emesso Piero Bassetti, uno dei padri del regionalismo italiano, e primo presidente della Regione Lombardia, nel 1970: «Io avrei abolito le Regio…

«Sull’utilità delle regioni il giudizio troncante l’ha emesso Piero Bassetti, uno dei padri del regionalismo italiano, e primo presidente della Regione Lombardia, nel 1970: «Io avrei abolito le Regioni, non le Province» disse, partecipando a un convegno su Adriano Olivetti, il manager illuminato che resta un faro nell’imprenditoria dal volto umano. Bassetti, milanese, 93 anni, democristiano della corrente di Base, all’inizio ebbe una visione “inclusiva” del regionalismo, nel senso che l’avvento delle Regioni doveva unire di più l’Italia, non dividerla ancora. Aprì subito, da lombardo pragmatico, una finestra di dialogo con la Calabria, all’epoca presieduta da Antonio Guarasci, altro leader dell’area democristiana pensante. Poi le cose precipitarono e, cinquant’anni dopo, arriva la bocciatura, “autorevole”, di un leader che ci aveva creduto. Quasi una sentenza senza possibilità di appello, sull’utilità delle Regioni. Dunque, l’istituto regionale, nato nel 1970, si è rivelato un fallimento, accelerato dalla, improvvida, riforma costituzionale del Titolo V che nel 2001 aumentò poteri e competenze delle Regioni. Quale titolo migliore, allora, si poteva scegliere per il libro di Franco Ambrogio, politico di una stagione in cui si faceva politica e Filippo Veltri, giornalista che non le ha mai mandato a dire, ma le ha dette, senza risparmiare la parte a cui ha sempre appartenuto, anzi. Ambrogio e Veltri sono stati comunisti, e probabilmente sono rimasti tali (nostalgici appassionati) dato che il post comunismo, come tutti i post della prima Repubblica, è una tragedia politica e culturale tale che chi può preferisce vivere di ricordi, scansando il presente. Il titolo del libro, “Regioni 50 anni di fallimenti” (Rubbettino editore, pagine 116, euro 12), è esplicativo, non lascia spazio a dubbi. Fallimento. Questa parola è pesante, dice Veltri, e chiede ad Ambrogio se sottoscriverebbe il fallimento delle Regioni in quanto istituzione. La risposta di Ambrogio è articolata: parte dalla innegabilità dell’impreparazione e l’inefficienza dimostrate nella gestione della pandemia, dalle carenze nella sanità, dai conflitti Stato Regioni, dalla pericolosità, dopo l’introduzione del titolo V, per la tenuta della coesione nazionale. Fino a qualche tempo fa – dice Ambrogio – si parlava dell’esperienza regionalista in termini fallimentari, in riferimento al Mezzogiorno. Oggi, è tutto il sistema che ha mostrato la sua pericolosità”. La questione, pone il punto Veltri, è come spiegare il fallimento da parte di chi nel regionalismo ha creduto, come i comunisti, che più degli altri si sono battuti per l’attuazione dell’istituto regionale previsto dalla Costituzione. E’ la battaglia istituzionale per le Regioni che si è dimostrata fallimentare, spiega Ambrogio. “Si è verificato – dice – ciò che qualcuno aveva temuto: non essere di per sé l’istituzione ad agevolare la spinta per una diversa condizione del Mezzogiorno. Al contrario, la pressione per una diversa politica economica si è indebolita, invece di diventare più incisiva. Il regionalismo ha permesso di disarticolare la pressione, invece di darle unitarietà. Al Nord, si è tramutato nell’attenzione esclusiva agli interessi immediati di quei territori. Al Sud, ha finito per ridursi alla richiesta – o all’offerta – di un’infrastruttura, di un investimento”. Trova spazio, nel libro, la storia della rivolta di Reggio Calabria, nata in conseguenza della scelta di Catanzaro come capoluogo. Sollecitato da Veltri Ambrogio spiega ampiamente, dalla sua visuale politica, come andarono le cose e soprattutto quanti errori commise il Governo (lo Stato). Ma quella data, del 1970, coincide, sostengono Veltri e Ambrogio, con l’inizio di un declino inarrestabile, per le regioni del Mezzogiorno. “Fino al 1970 – osserva Ambrogio – il divario, nel complesso è stato contenuto nella sua dimensione storica. Dagli anni ’80 in poi, la questione meridionale non si è più posta. È sopravvenuta la questione settentrionale. Il divario ambientale è aumentato. Le Regioni erano nate per irrobustire la democrazia nel Mezzogiorno, anche attraverso la possibilità di un maggiore controllo, da parte dei cittadini, sulla gestione della spesa pubblica. È avvenuto il contrario: la gestione è divenuta ancora più opaca e al centralismo statale è subentrato il centralismo regionale”. Veltri pone un problema, nel dialogo con Ambrogio. “La questione dell’autonomia differenziata – dice – apre il problema dell’assetto complessivo dello Stato. In che direzione si vuole andare? Verso l’ulteriore, definitiva disarticolazione dello Stato e un allargamento irreversibile del divario tra Nord e Sud”? E lo assale un dubbio: “In conclusione: siamo alla torre di Babele, le Regioni vanno ognuna per la propria parte, lo Stato centrale balbetta e i cittadini non sanno a chi rivolgersi. Forse 50 anni fa i nostri amati costituenti avevano altro in mente”. La risposta di Ambrogio, è sconsolata: “In mezzo c’è un’assenza: una classe dirigente con una visione unitaria e di governo che non si limiti a mediazioni di corto respiro, ma sia portatrice di una politica che dia una risposta organica alla crisi del Paese. La Babele come l’hai definita tu”. Un libro da leggere, da tenere sul comodino, per quelli che fanno politica»