CORIGLIANO ROSSANO Non tutto è oro ciò che luccica. Ed anche quello che potrebbe essere brillante come “l’oro giallo” della Piana di Sibari, gli agrumi, spesso finisce per essere addirittura non raccolto o svenduto fra i mille rivoli del mercato. E soffocato dai problemi, come la siccità o la manodopera in tempi di Covid.
Nella vallata del Trionto, la fiumara più ampia d’Europa, paradossalmente manca l’acqua. I produttori devono fare spesso i conti con l’aridità anche d’inverno, tra l’acqua centellinata dal Consorzio di bonifica che dal Crati percorre oltre trenta chilometri per raggiungere quell’area ed i pozzi artesiani.
Proprio lungo il Trionto, si snoda uno degli sprechi più grandi degli ultimi decenni che avrebbe placato la sete di coltivatori e delle aree urbane a valle: la diga sul torrente Laurenzano (un affluente del Trionto) e la direttrice – una condotta idrica del diametro di un metro e mezzo – per un invaso inesistente che si sarebbe dovuto realizzare a valle.
«Negli anni ’80 – spiega al Corriere della Calabria, l’imprenditore agricolo Ranieri Filippelli – l’allora Consorzio di Bonifica Sibari-Crati, per creare un invaso e poter ampliare le aree irrigabili realizzò in parte in un progetto che prevedeva la costruzione di una diga sul torrente. Quelle acque incanalate in una condotta sarebbero servite per l’irrigazione d’estate e produrre energia elettrica d’inverno attraverso una centrale idroelettrica. Oggi quel che ne rimane sono queste enormi tubazioni in superficie su una sponda del Trionto, nel tempo deterioratesi per via delle piene».
«Un capitale enorme di tubi in acciaio zincato – insomma – caduti a pezzi. In tutto questo gli agricoltori muoiono di sete e l’acqua si perde, mentre la zona è servita dall’acqua del Consorzio di Bonifica prelevata dal Crati, a oltre trenta chilometri da qui. Ed è immaginabile con quale forza e quanta acqua giunga da queste parti se deve percorrere tutta quella strada. Quell’opera, invece, avrebbe mitigato la sete di tanti, con acqua certamente pulita e limpida. Cinquanta miliardi di spreco per un’opera mai entrata in esercizio e realizzata solo in parti, oggi, finite in malora».
Secondo Ranieri Filippelli, la campagna è iniziata «male perché è venuta meno la manodopera proveniente dall’Europa dell’Est, a causa del green pass. Tutti lavoratori idonei ad essere assunti. Ed invece è paradossale che da una parte ci sia una grande offerta di lavoro stagionale offerto dalle imprese agricole, dall’altra migliaia di potenziali lavoratori che non possa essere impiegati in quanto immigrati irregolari che vivono sul territorio e che spesso finiscono nel sottobosco del caporalato per lavorare in nero. La singolarità sta proprio qui: domanda e offerta non si incrociano. Se ci fosse più attenzione da parte della politica bisognerebbe pensare a dei bypass normativi per consentire a tanta gente di poter lavorare comunque onestamente».
«La campagna agrumaria dopo tanti anni è andata bene – specifica ancora Filippelli –. Molti agrumeti hanno espresso belle pezzature, il frutto si presentava bene, specialmente nell’area rossanese. In alcuni agrumeti, invece, la minor produzione è stata ripagata dalla qualità. I mercati hanno tirato fino ad un certo punto, fino alla saturazione».
Il problema, insomma, «è sempre la filiera agrumaria troppo sfilacciata. Bisognerebbe trovare vere forme aggregative per avere maggiore forza contrattuale sul mercato. Così i piccoli produttori, sempre più spesso, rimangono al palo già a novembre». (l.latella@corrierecal.it)
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