LAMEZIA TERME Una regione che ha perso decisamente molto terreno nella fase acuta della pandemia e che stenta più di altre a recuperare terreno e ad agganciare la ripresa che è in atto in Italia. I segnali di “rimbalzo” economico nel corso del 2021 sono stati più deboli nella regione (+3,9% del Pil) tanto da segnalarsi come dato record negativo nel Paese. Così la Calabria rischia di non intravedere i frutti di una robusta ripresa che sia in grado di far recuperare il Gap neppure nell’anno che si è appena aperto e neanche nel 2023. Tutto dipenderà strettamente dalle «manovre di finanza pubblica e del Pnrr» che dovrebbero avvantaggiare il Sud e che se ben utilizzate «dovrebbero impedire al divario di riaprirsi». Luca Bianchi, direttore della Svimez – che qualche settimana addietro ha presentato il Rapporto 2021 – analizza, in esclusiva per il Corriere della Calabria, il quadro che si trova a vivere attualmente la regione e le prospettive dell’immediato futuro. A partire dall’anno che è appena iniziato.
Secondo Bianchi, a pesare sull’incapacità di cavalcare la ripresa «che pur ci sarà» per la Calabria, ci sono diversi aspetti: bassissimo tasso di export, industrializzazione «ancora troppo episodica e a macchia di leopardo». Ma anche perché la regione «soffre di pesanti carenze nelle attività del terziario avanzato». E lancia un monito sull’uso delle risorse: «la vera sfida è quella di riuscire a mettere a terra i progetti». «Difficile realizzare questi obiettivi – dice – se non si rafforzano le competenze interne e il supporto esterno ai Comuni».
L’economia calabrese dopo due anni di crisi pandemica sembra essere stata maggiormente colpita. E tarda più di altre regioni a risentire dell’effetto “rimbalzo”. Dal vostro punto di vista quali sono le ragioni?
«La Calabria ha perso molto nel 2020, quasi il 10% del PIL, ma nel 2021 e 2022 aumenterà del 3,9% ciascuno dei due anni e quindi il rimbalzo ci sarà, pur se in ritardo e comunque non riuscendo a recuperare del tutto la perdita conseguente alla pandemia. Si tratterà di una percentuale di incremento del prodotto non trascurabile per una regione che tradizionalmente è la Cenerentola d’Italia sia perché ha un bassissimo tasso di export, sia perché l’industrializzazione è ancora troppo episodica e a macchia di leopardo, ma anche perché soffre di pesanti carenze nelle attività del terziario avanzato. Il dato positivo arriva dai servizi, grazie ad una buona stagione estiva e dalle prospettive di ripresa del settore delle costruzioni, molto importante nella regione».
Anche sul fronte dell’occupazione la Calabria è tra le regioni che ha perso maggiore terreno nel periodo pandemico. E la ripresa non sembra far recuperare quelle perdite.
«Nel mercato del lavoro il rimbalzo tarda a venire, ma non solo in Calabria, in tutto il meridione. Dopo aver perduto il 4% nel 2020, a stento tra 2021 e 2022 recupererà un 3,2%, senza perciò riuscire a tornare ai livelli di occupazione pre-pandemici. Secondo le nostre Previsioni, nel prossimo quadriennio l’impatto relativamente maggiore delle manovre di finanza pubblica e del PNRR al Sud rispetto al Centro-Nord dovrebbe impedire al divario di riaprirsi. E la Calabria, sia pure un po’ più lentamente del resto del Mezzogiorno, dovrebbe riuscire ad sfruttare quest’opportunità».
Avete registrato sempre sul fronte dell’occupazione una maggiore precarizzazione. Come rendere stabile il lavoro in una regione così fragile?
«Il mercato del lavoro meridionale è estremamente fragile. Nel nostro Rapporto di quest’anno abbiamo registrato come la debolezza dei consumi in tutt’Italia, ma marcatamente al Sud, sia la conseguenza di una dinamica salariale piatta. Un dato è emblematico in tal senso: il 15,3% dei dipendenti con bassa paga è concentrato nelle regioni meridionali, rispetto all’8,4% registrato in quelle centro settentrionali. Perché il basso tasso di occupazione e l’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro del Mezzogiorno, con il ricorso al tempo determinato per quasi 920 mila lavoratori meridionali (22,3% al Sud rispetto al 15,1% al Centro-Nord) e al part time involontario (79,9% al Sud contro 59,3% al Centro-Nord), frenano la crescita. La Svimez ha stimato che, dopo lo sblocco dei primi licenziamenti da fine giugno, ci siano stati circa 10.000 espulsi dal mercato del lavoro, di cui il 46% è concentrato nelle regioni meridionali».
Nel Rapporto si parla di un divario di cittadinanza tra le due aree del Paese. Emergono differenze sostanziali nella capacità di offrire servizi ai cittadini. Dalla sanità, all’istruzione per finire ai trasporti. Un divario che con una ripresa a due marce sembra riprendere ad accelerare soprattutto in Calabria?
«Il divario nei diritti di cittadinanza è l’aspetto più odioso della forbice Nord Sud. Il tema della capacità di garantire l’effettiva offerta dei servizi rimanda all’esigenza più ampia di definire un percorso sostenibile di perequazione che consenta di superare la pratica della “spesa storica” e di ristabilire uguali diritti di cittadinanza in tutto il Paese e non solo in una sua parte. La Svimez nel recente Rapporto ha posto al Governo una serie di interrogativi in merito all’attuazione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza che riguardano i servizi alle famiglie. Oggi, soprattutto nelle regioni meridionali più fragili, come la Calabria, scontiamo evidenti divari di genere, la progressiva contrazione del tasso di crescita della popolazione, l’allargamento dell’area della povertà assoluta, valori di spesa pro capite mediamente più bassi nella sanità, una giustizia inefficiente che incide non poco sulla competitività del sistema economico regionale, pesanti carenze infrastrutturali nella mobilità di persone e merci, non solo a lunga percorrenza ma anche a corto raggio, un sempre più penalizzante digital divide. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbe essere lo strumento se non per colmare il gap, almeno per avvicinare di molto le aree più sviluppate e quelle ancora piuttosto arretrate».
Passando ad analizzare il fenomeno dell’esodo di giovani, avete registrato una fuga anche nella fase pandemica dal Sud per studiare nelle regioni del Centro Nord. Ed in questo la Calabria è tra quelle che accusano maggiormente questo fenomeno. Come contrastare questa tendenza?
«Negli ultimi tre anni è aumentato lo stock annuale degli studenti triennali del Mezzogiorno immatricolati al Centro-Nord che ha raggiunto le 22.644 unità. L’unica buona notizia nel 2020 è che nello stesso tempo è diminuita la loro quota percentuale rispetto alle immatricolazioni complessive, grazie ad un incremento degli iscritti derivante dall’ampliamento delle fasce di agevolazione sulle tasse di iscrizione. Rimane un problema di abbandono scolastico: i giovani meridionali che lasciano prematuramente il sistema formativo sono il 16,3% al Sud a fronte dell’11,2% delle regioni del Centro-Nord, in Calabria raggiungono circa il 17%: 253mila giovani meridionali, con al massimo la licenza media, è fuori dal sistema di istruzione. È una delle conseguenze del fatto che la spesa in istruzione è diminuita in Italia dai circa 60 miliardi del biennio 2007-2008 a circa 50 miliardi negli ultimi due anni (in euro costanti 2019). Una flessione del 15% che sottende un calo vicino al 19% nel Mezzogiorno e del 13% nel Centro-Nord. L’esiguità di risorse investite impedisce di sciogliere i nodi strutturali di una popolazione meno istruita anche con riferimento alle generazioni più giovani, e dello scarso accesso da parte della platea studentesca ai titoli terziari brevi e professionalizzanti».
La Calabria registra tra i vari record negativi, ad esempio, quello di avere un minor numero di asili nido. Percepite un’intenzione effettiva da parte del governo di fronteggiare questa vera e propria “ingiustizia territoriale”?
«L’Italia e soprattutto il Mezzogiorno rimangono ancora distanti dai target europei nei servizi all’infanzia (il 33% di copertura nella fascia 0-2 anni). Il livello dei posti si attesta al 26,9% dei bambini fino a 2 anni con elevate disparità territoriali: circa il 15% la copertura nelle Regioni del Sud, con punte negative in alcuni territori meridionali come quello calabrese. Il divario tende a chiudersi con il passaggio alla scuola materna e primaria ma la carenza d’offerta a sfavore del Mezzogiorno si sposta dai posti agli orari di frequenza. Nel Mezzogiorno è molto meno diffuso l’orario prolungato nella scuola primaria: la percentuale di alunni che frequentano a tempo pieno è più bassa nelle regioni meridionali, circa 1 bambino su 4 in Calabria rispetto al resto del Paese (47,7%) 1 su 2 nel Centro-Nord».
E su questo fronte la Calabria deve fare i conti anche con la fragilità finanziaria degli enti locali. È tra le regioni con maggiori Comuni in dissesto. Una situazione che certamente non aiuta a garantire quei livelli di servizi essenziali uguali ad altre aree del Paese. Ci sarebbe da non lasciare “sole” le amministrazioni comunali?
«Troppi Comuni meridionali sono a un passo dal dissesto, al Sud un cittadino su 3 risiede in un Comune in crisi finanziaria. Si tratta di una pesante zavorra per i residenti in questi Enti, in quanto uno su tre dovrà farsi carico del rientro del debito attraverso una maggiore pressione fiscale. Non c’è dubbio che la minore capacità progettuale delle amministrazioni meridionali, non solo quelle in dissesto o predissesto, le esponga a un elevato rischio, con il paradosso che le realtà a maggior fabbisogno potrebbero beneficiare di risorse insufficienti. Senza un intervento strutturale per rafforzare finanziariamente i Comuni del Sud anche l’attuazione del Pnrr è a rischio. La prima e maggiore sfida è, infatti, quella dell’assorbimento delle risorse, considerando che le Amministrazioni regionali e locali meridionali dovranno gestirne una quota significativa, che la Svimez quantifica in 20,5 miliardi, per la metà concentrati nel biennio 2024/2025. Nel biennio il volume annuo di spesa per investimenti attivato dal Pnrr gestito dalle Amministrazioni decentrate, dovrebbe essere pari a circa 4,7 miliardi che richiederebbe uno sforzo aggiuntivo di spesa, pari a circa il 51% rispetto alla spesa annua effettuata dalle stesse Amministrazioni meridionali nel triennio 2017-19. Difficile realizzare questi obiettivi se non si rafforzano le competenze interne e il supporto esterno ai Comuni. Per farle un esempio il Comune di Reggio ha solo il 20% del personale laureato, con una riduzione del 6% rispetto a dieci anni fa».
Si parla tanto delle risorse del Pnrr per fronteggiare i divari territoriali e imprimere una svolta alla capacità di riscatto del Sud e della Calabria. Ma i ritardi sul loro utilizzo sono molto più che un rischio paventato. L’Europa chiede un’accelerazione. Come evitare che facciano la fine delle altre risorse destinate al Sud e alla Calabria in particolare, somme che, quando investite, non hanno prodotto gli effetti sperati?
«Per risolvere questi nodi non si può prescindere dall’inserimento di quadri tecnici in grado di gestire la progettazione e l’attuazione degli interventi del Pnrr. Ma, accanto alle nuove figure, va rafforzato il supporto alla progettualità di questi Enti decentrati attraverso: Centri di Competenza nazionali a supporto della Pa (come Consip, Invitalia, Sogei) e Centri di Competenza Territoriale, in raccordo con le Università, che la Svimez propone di costituire, con le quote del Pnrr per l’assistenza tecnica. Su quest’ultimo punto siamo impegnati in prima fila e non a caso abbiamo chiesto al Governo, in particolare alla ministra per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno, Mara Carfagna, di creare non solo i Centri di Competenza nazionale ma anche Centri di Competenza Territoriale. La ministra nel corso del dibattito per la presentazione del Rapporto ci ha detto che condivide l’idea e che si sarebbe fatta portavoce della nostra richiesta all’intero Governo. Secondo la Svimez, per sventare questo rischio bisogna anche riuscire a coordinare efficacemente i fondi del Pnrr con quelli della Politica di Coesione, che non possono andare avanti come due compartimenti stagno: bisogna programmarli e spenderli in sinergia per ottenere il massimo impatto sui territori meridionali. E al tempo stesso, è necessario che le Politiche Generali non lascino solo il Pnrr. Le risorse ci sono, bisogna spenderle presto e bene e la vera sfida è quella di riuscire a mettere a terra progetti». (r.desanto@corrierecal.it)
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