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Lamezia, la droga acquistata dai Piromalli e l’auto come “garanzia” per il debito. «Ci pensa zio Tonino»

Tra le carte dell’ordinanza del gip Saccà le questioni nate dopo la cessione di 250 grammi di cocaina e la figura di un “vecchio” boss, tra intimidazioni e minacce

Pubblicato il: 20/02/2022 – 8:53
di Giorgio Curcio
Lamezia, la droga acquistata dai Piromalli e l’auto come “garanzia” per il debito. «Ci pensa zio Tonino»

LAMEZIA TERME Tra gli indagati dell’inchiesta della squadra mobile di Catanzaro e che nei giorni scorsi a Lamezia Terme ha portato all’emissione di 23 misure cautelari, con sei persone finite in carcere, c’è anche quello che è considerato una storica figura “di vertice”, un soggetto – scrive il gip Barbara Saccà – in grado di interfacciarsi, anche per dirimere controversie, con alcuni esponenti di consorterie di stampo ‘ndranghetistico operative in Calabria come Cracolici e Piromalli, perché considerato da tempo “vicino” allo storico clan Pagliuso di Lamezia Terme. Si tratta di Felice Cadorna, classe ’53, noto come “zio Tonino”. Dalle numerose intercettazioni captate dagli inquirenti, infatti, molti degli indagati descrivono la sua posizione, ma anche lo “spessore” di Cadorna, indagato in questa inchiesta ma già coinvolto in altre inchieste in passato, come quando Antonio Pagliuso, finito in carcere, in una conversazione captata dagli inquirenti nel magazzino di via Torre, ricorda ai presenti che al vertice del loro gruppo c’era “zio Tonino”, a seguire invece c’era lui. «(…) quando entri in una certa situazione… Antonio è “sotto” di me, Antonio, tutti quanti sono sotto di me, tuo padre lo sa dopo lo zio Tonino ci sono io!».

Lo spaccio di droga e i debiti non pagati

Quello individuato dagli inquirenti e attivo a Lamezia Terme è essenzialmente un gruppo “vivace”, in grado di gestire e spacciare quantità considerevoli di droga, anche grazie ai legami con alcuni soggetti ben più di spessore come Piromalli e Cracolici. Rapporti che ad un certo punto hanno anche rischiato di rovinarsi irrimediabilmente. Quando ad esempio Danilo Pileggi – per il quale è stato disposto l’obbligo di dimora – e Pasquale Buffone – finito invece in carcere – maturano un debito di droga con i Piromalli. Si tratta – nello specifico – della cessione di 250 grammi di cocaina a Pasquale Buffone al prezzo di 45 euro al grammo, acquistata a fine di spaccio. Una quantità di droga consistente e di cui lo stesso Pileggi si vanta in una conversazione captata dagli inquirenti: «Io l’avevo… il colosso, io per darne duecentocinquanta a Pasquale, figurati quanto ne avevo, renditi conto tu, gli ho dato duecentocinquanta grammi sotto Natale, che cazzo vale…». Un cospicuo debito quello maturato da Buffone e il cui mancato pagamento mette di fatto nei guai Tonino Torcasio, intermediario con i reggini della fornitura di cocaina presa da Pileggi e per il quale è stato disposto l’obbligo di dimora. «(…) ma spiegami una cosa, dimmi un’altra cosa… ma questi di Gioia, chi sono?» chiede Antonio Torcasio a Danilo Pileggi, che risponde: «Loro sono! Chi c’è a Gioia, dimmelo tu? Chi c’è a Gioia? Chi ha la “bianca”? E basta, loro sono».

La figura di Torcasio

In questo affare, secondo gli inquirenti, è rilevante proprio la figura di Antonio Torcasio. Quest’ultimo, infatti, in un primo momento era intervenuto in favore di Pileggi come mediatore nell’acquisto della cocaina acquistata dai reggini, tramite l’aggancio di Domenico Cracolici e, a causa dell’inadempimento di Pileggi e di Buffone, si vedeva in qualche modo costretto a garantire il pagamento della droga acquistata grazie al suo intervento. E proprio i Piromalli si rivolgevano a Torcasio quale referente per l’acquisto e affinché provvedesse a risolvere la questione. Per questi motivi lo stesso Torcasio ha preteso il pagamento dovuto da Pileggi e da Buffone, al quale avrebbe anche chiesto di consegnargli la propria auto a garanzia del debito contratto. «(…) eh, la zia ti ha rotto il cazzo che non ha voluto che gli prendiamo la macchina, io non è che gliela prendo la macchina, se loro mi dicono una settimana, io gli porto la macchina sotto casa da un mio amico…».

La “cessione” dell’auto come garanzia del debito

In attesa dell’adempimento di Buffone, Pileggi è stato costretto da Antonio Torcasio a consegnare la sua macchina a Domenico Cracolici. Questo perché – è riportato nell’ordinanza del gip, da un lato «Buffone persisteva nell’inadempimento e, da un altro lato, perché evidentemente lo stesso si rifiutava di porre rimedio al problema anche vendendo la sua macchina». E così, il 5 febbraio 2018, gli inquirenti riescono a monitorare l’incontro avvenuto davanti ad un noto supermercato di Lamezia tra Pileggi e Torcasio, a cui faceva poi seguito un altro incontro nel primo pomeriggio, nel corso del quale proprio Torcasio si appropriava materialmente dell’autovettura di Danilo Pileggi. «Sono a piedi pure io che gli ho dovuto lasciare la macchina mia… per quel grasso di merda la, che oggi sono imbastardito guarda che gli sto andando a tirare la testa!», si sfoga Pileggi poco più tardi al telefono con un interlocutore.

L’intervento di “zio Tonino”

Il 10 febbraio 2018 in un’altra conversazione captata dagli inquirenti, Pileggi insisteva al telefono affinché Torcasio gli recuperasse l’auto. Sarà necessario l’intervento di Felice Cadorna, invocato direttamente da Antonio Pagliuso, per risolvere la questione. È lui a parlarne, infatti, il 23 febbraio 2018, in una conversazione ambientale capta dagli inquirenti nel magazzino di via Torre e in cui evocava la figura dello “zio”, sottolineando la necessità di sottoporgli la questione e di affidarsi alle sue determinazioni e perché «conosceva tutti i vecchi». Ed effettivamente lo “zio Tonino” – è scritto nell’ordinanza del gip – riuscirà a recuperare quanto dovuto per i creditori che, grazie alla sua intercessione, hanno così restituito l’autovettura a Pileggi. L’episodio verrà poi descritto dallo stesso Pileggi a Pagliuso e Domenico Bonali, ancora nel magazzino in via Torre: «(…) ho scioccato a tutti, sono andato da Cracolici per prendermi la macchina e gli ho detto: “io!”, gli ho detto: “a trentatré anni e non tengo un euro di debito con nessuno…”, e Franco mi ha detto: “vai da Tonino… “, arrabbiato, mi ha detto: “portamelo qua…” (…)”e se domani mattina alle otto meno cinque la macchina non è qua, ha detto: “digli di scapparsene che io esco dai domiciliari…”, perché Franco per me ne muore, te lo dico seriamente ne muore davvero… per me Franco ne muore…».

L’intimidazione al ristorante

L’intraprendenza del gruppo criminale individuato dalla Squadra mobile riguardava anche il campo delle estorsioni e delle intimidazioni. In questo senso è dal 7 giugno 2018 che gli inquirenti sono riusciti a registrare una serie di conversazioni – riportate nell’ordinanza firmata dal gip Saccà – da cui si è riusciti a risalire alla ricostruzione di un altro episodio estorsivo, realizzato attraverso il posizionamento di una bottiglia da 1,5 lt. contenente liquido infiammabile con annessi proiettili per arma da fuoco ed un accendino, su mandato di “zio Tonino” Cadorna. L’obiettivo è un noto ristorante di Lamezia Terme, gestito da padre e figlia. Il tutto viene documentato dagli inquirenti. I presunti responsabili sono Antonio Cerra – finito ai domiciliari – e Gino Gatto, indagato. «Adesso che c’è gente, che ci sono tutti sti cretini!» – discutono i due – «solo che qua non te la vede… dove cazzo la possiamo lasciare… al cancello!». L’intento iniziale dei due era, dunque, quello di lasciare l’ordigno davanti l’ingresso principale del locale ma, scoraggiati dalla presenza di alcuni clienti, optano per una porta secondaria, posta sul retro. E così, alle ore 21:06 circa Antonio Cerra entra in azione: eliminate eventuali tracce rimaste sulla bottiglietta, che potessero portare alla sua identificazione, utilizzando delle salviettine umidificate, posiziona l’ordigno e si dilegua. «Dopo vienitelo a fare un giro qua! hai capito? (…) ma ce l’hai internet tu?… così ti scrivo dopo? ti scrivo?». Poco più tardi, secondo la ricostruzione, Antonio Cerra si raccomanda con il suo complice affinché  ritornasse sul posto più tardi e per verificare se l’ordigno si trovasse ancora dove lo avevano posizionato e di comunicarglielo attraverso un canale sicuro. Il giorno seguente, Cerra contatta telefonicamente proprio Felice Cadorna chiedendogli un incontro mentre l’episodio verrà poi denunciato ai Carabinieri della Stazione di Sambiase il 9 giugno 2018.

La minaccia al ristorante

La rilevanza della figura criminale di “zio Tonino” Cadorna emerge da altri due episodi riportati dal gip Saccà nell’ordinanza. Il primo risale al 9 luglio 2018. Lo scenario è un noto locale di Sant’Eufemia, a Lamezia Terme, dove si festeggiava il compleanno di Antonio Pagliuso. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, in quell’occasione Cadorna avrebbe puntato una pistola, con il colpo in canna inserito, nei confronti di un uomo, minacciandolo di spararlo alle gambe per «avergli mancato di rispetto». Ad ottobre dello stesso anno, invece, Cadorna avrebbe utilizzato un’arma per minacciare, questa volta, Immacolata Bonali – per lei è stato disposto l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria – nei cui confronti “zio Tonino” – secondo la ricostruzione accusatoria – era fortemente adirato «per questioni non meglio specificate» ma che riguardavano lo stesso uomo già minacciato in estate. E così, armato di pistola calibro 6.35, in precedenza già appartenuta ad Antonio Pagliuso, secondo i racconti captati ancora nel magazzino in via Torre, la discussione con la donna era sfociata in una colluttazione fisica, nel corso della quale l’aveva afferrata per i capelli. (redazione@corrierecal.it)

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