REGGIO CALABRIA «Prima di tutto la libertà, quella di informare, quella di esprimersi, quella di criticare chi gestisce la cosa pubblica, quella di portare all’attenzione dell’opinione pubblica chi ha fatto del crimine una ragione di vita. In Calabria, terra di frontiera, terra di ‘ndrangheta, segnata da corruzione e politiche di “comparaggio”, c’è bisogno di più informazione. Informazione attendibile, qualificata, approfondita, scevra da qualsivoglia vassallaggio, fatta da giornalisti competenti e liberi». Anche il segretario regionale della Uil, Santo Biondo, interviene a sostegno dell’appello contro le querele “intimidatorie” lanciato ieri dal Corriere della Calabria assieme a sette testate, all’Ordine dei giornalisti, al Sindacato e all’Unci.
«Con convinzione – dice Biondo –, ci schieriamo dalla parte della campagna di sensibilizzazione avviata dall’Ordine dei giornalisti, ci schieriamo dalla parte di quei tanti giornalisti intimiditi; di quelli costretti a vivere sotto scorta per il solo fatto di aver compiuto bene la propria professione; di quei tanti, troppi, cronisti chiamati ogni mese a tirare la cinghia e fare i conti con stipendi fuori da ogni logica contrattuale».
«Quest’ultimo – spiega il sindacalista – è un aspetto non secondario e non trascurabile. In questa terra è necessario parlare di contrattazione, è determinante discutere dell’applicazione piena e rispettosa di ogni sua previsione, nelle redazioni operanti sul territorio regionale, del contratto nazionale di lavoro. E non se ne faccia una questione di tenuta economica delle testate giornalistiche che, spesso, ricevono ingenti sostegni da parte dello Stato. Oggi, che si riapre il dibattito su quella che riteniamo una delle professioni più importanti per il futuro della Calabria, è il momento di dire che la contrattazione aziendale appare come fuori dal tempo».
«Chi sceglie di fare il giornalista in questa terra così difficile – continua la nota – non può essere pagato meno di chi fa lo stesso mestiere da Roma in su, non può essere pagato a rate, non può essere pagato a pezzo, non può ricevere un Cud più alto rispetto a quello che, a fine anno, riuscirà ad ottenere con una transazione a ribasso delle spettanze dovute dagli editori e, quindi, essere costretto a pagare le tasse per un importo economico mai ricevuto. Chi sceglie di fare il giornalista in Calabria, che sovente si assume responsabilità assai elevate ed il rischio di vedere limitata la propria libertà o soggiacere a querele temerarie per cifre che non riuscirà a racimolare lavorando tutta la vita, deve essere retribuito per quanto stabilisce il contratto nazionale, deve essere tutelato dallo Stato. Farlo potrebbe essere più semplice di dirlo».
Biondo ricorda che «giace in Senato dal 2018, infatti, un disegno di legge – primo firmatario il senatore Di Nicola – che prevede la modifica dell’articolo 96 del codice di procedura civile e – riportando in toto la formulazione della norma – “consiste sostanzialmente nel fissare un parametro preciso per il giudice, risultante nella liquidazione di una somma non inferiore alla metà dell’oggetto della domanda risarcitoria, al fine di scoraggiare eventuali domande risarcitorie non solo infondate ma anche palesemente esorbitanti, di natura intimidatoria nei confronti del giornalista”. Riprendere e approvare questo provvedimento sarebbe una prima vittoria, un messaggio importante da parte di quella politica che, sovente, usa le querele temerarie come un maglio per “disarmare” la libera informazione».
«Un’altro strumento, infine, per limitare il ricorso alle querele temerarie, poi, potrebbe essere – chiude il segretario della Uil – quello di obbligare chi decide di seguire questa strada a depositare presso le cancellerie dei tribunali, all’atto della presentazione della querela, di almeno un terzo della quota di risarcimento richiesto. Il sindacato, questo sindacato, sarà sempre dalla parte di chi sceglie di mettersi in gioco senza filtri, come fanno i tantissimi giornalisti calabresi, per il bene di questa regione».
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