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L’intervista

Libertà di stampa. Pellegrini: «Esiste un “caso Calabria” da affrontare»

Secondo il direttore de “I Calabresi”, la regione è più esposta agli effetti delle querele temerarie: «È una vera censura preventiva per i giornalisti»

Pubblicato il: 01/03/2022 – 6:05
di Roberto De Santo
Libertà di stampa. Pellegrini: «Esiste un “caso Calabria” da affrontare»

COSENZA «Sulle querele temerarie esiste un più grave e specifico “caso Calabria” per i fattori inquinanti che dal contesto sono riversati sulla libera informazione.  Per questo chiediamo che Parlamento e Governo debbano affrontare e risolvere con sollecitudine il problema». Francesco Pellegrini, direttore de “I Calabresi” lancia un appello contro quella che definisce «vera censura preventiva». E sul tema delle querele temerarie – iniziativa avviata dal Corriere della Calabria assieme ad altre testate, all’ordine e al sindacato dei giornalisti – sollecita anche i magistrati ad una maggiore attenzione per tutelare i giornalisti da azioni “intimidatrici”.

Direttore, perché le denunce temerarie per una testata o per un giornalista suonano come vere e proprie minacce alla propria libertà di espressione?
«Le querele che si minacciano o si presentano sono quasi sempre fondate sul nulla e sulla pretesa di soggetti che vorrebbero una versione minimalista della libera informazione, ritenendola tale a patto che non tocchi i propri interessi, non sempre leciti e trasparenti, ma quelli dei propri “nemici”. Le querele sono il mezzo al quale si ricorre dando per scontato che tenere sulla graticola un giornalista per anni, per la colpevole lentezza della giustizia, sia già un prezzo salato che anticipa gli effetti della sentenza. In questo uso strumentale dell’azione legale non ci sono innocenti. I magistrati hanno un codice che non li obbliga a dare seguito a carte imbrattate. E hanno o dovrebbero avere un codice etico che tuteli, in palese assenza di reati dall’azione intimidatrice, i giornalisti diventati in gran parte nuovi soggetti deboli tra i tanti».

Quali risvolti sta avendo sul modo di comunicare le notizie in una regione già complicata sotto il profilo della tenuta della legalità?
«Più che di risvolti parlerei di vera censura preventiva. C’è l’autocensura del giornalista che si ritrova a filtrare, cioè depotenziare, la notizia perché portato a pensare che se non lo facesse pagherebbe un prezzo. Non è scritto che tutti debbono essere eroi per non perdere un posto precario, sottopagato, spesso, qualche centesimo a riga pubblicata.Come non bisogna fingere che la presenza dell’editore-padrone a tutela di interessi estranei all’informazione non si faccia sentire anche sui direttori, che sono così indotti – non accade sempre e non con tutti, per fortuna – ad esercitare un ruolo di controllo, legittimo senza però diventare arcigno».


Attacco alla libera stampa


Dal tuo punto di vista il fenomeno delle denunce temerarie è in crescita in Calabria?
«Non so se il loro numero sia in aumento. Non esiste un report aggiornato sulle querele minacciate o già depositate, che io sappia. So solo che quelle querele non dovrebbero proprio esserci, perché temerarie significa che non sono supportate da un reato: diffamazione, diffusione di notizie false, etc. Aggiungo che la fragilità e vulnerabilità dell’informazione, per il peso del contesto, incide sulla diffusione di molte testate, quelle online in particolare, precludendo ai lettori la possibilità di godere della inestimabile bellezza del libero (e responsabile) giornalismo».

Qual è stata la vicenda più pesante sotto il profilo economico-psicologico che hai subito nella tua carriera dopo una querela?
«Nel caso de “I Calabresi” siamo solo al settimo mese di vita, ma abbiamo già ricevuto una richiesta di mediazione da due milioni di euro che può precedere una querela, da noi già respinta. E solo per aver raccontato una vertenza sindacale con 57 lavoratori a rischio licenziamento. Così come ci hanno annunciato una querela per aver citato atti parlamentari».

Al di là della solidarietà, negli anni hai percepito in Calabria qualche cambio di passo per affrontare concretamente il problema?
«Noi siamo interessati al problema generale della stampa calabrese e mi permetto di ricordare che l’intimidazione ha molti modi per manifestarsi. In Calabria, che non si risparmia in materia, abbiamo raggiunto l’apice e l’attenzione nazionale facendo casualmente guastare le stampatrici per impedire l’uscita di un quotidiano poi definitivamente sparito dalle edicole. Grossi – e, soprattutto, tangibili – passi avanti da allora non ne ricordo».

Su questo aspetto cosa dovrebbe avvenire per mettere “in sicurezza” il diritto-dovere di informare i calabresi? E cosa dovrebbe fare invece il mondo dell’informazione per tenere alta l’attenzione su questa che si sta rivelando una vera e propria emergenza?
«Rispondo a entrambe le domande. La denuncia sottoscritta dalle redazioni coinvolte, per dire che di querele farlocche, intimidazioni e censure i giornalisti hanno le scatole piene – apprezzata e condivisa, magari con un deficit di tempestività, da politici e dagli Organismi rappresentativi della categoria – non esaurisce l’impegno e le iniziative che con il consenso dei colleghi ci proponiamo di mettere in campo. Se esiste anche fuori della nostra regione il problema della bulimia da querela temeraria, che Parlamento e Governo debbono affrontare e risolvere con sollecitudine, esiste un più grave e specifico “caso Calabria” per i fattori inquinanti che dal contesto sono riversati sulla libera informazione. Noi abbiamo la iattura della ‘ndrangheta, che non è meno oppressiva anche nelle forme di investitore massivo di capitali nell’economia, di una politica in parte gregaria di poteri cosiddetti forti e in ogni caso di qualità e credito molto modesti. Cosa fare? Sul tappeto ci sono molte modalità e il nostro impegno a tradurle in azioni reali è totale. Ci proponiamo, se avremo il consenso della maggioranza dei firmatari del documento pubblicato, di chiedere con una istanza pubblica l’aiuto e la condivisione dei direttori e dei Comitati di redazione delle principali testate nazionali, anche televisive. Pensiamo anche, se fosse necessario, di acquistare una pagina di uno dei giornali più autorevoli per rendere note le nostre ragioni e le insidie che si realizzano a danno del giornalismo libero e dei giornalisti, resi strutturalmente deboli con la precarietà dei rapporti di lavoro e la miseria offensiva delle loro retribuzioni. Il bisogno, reale e/o percepito, rende le persone, tutte le persone, non libere. È un prezzo troppo alto da pagare e bisogna, che chi ha per mestiere la possibilità di dare voce a tanti altri, lo faccia in concreto e con sollecitudine». (r.desanto@corrierecal.it)

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