Dal Fatto Quotidiano di oggi pubblichiamo l’intervento del professore Saverio Regasto.
Le esternazioni del presidente della Corte, Giuliano Amato, non disgiunte dagli appelli alla libertà di stampa lanciati da alcune testate giornalistiche calabresi, pongono, con una certa urgenza e nonostante i mezzi di comunicazione si stiano occupando esclusivamente delle vicende belliche dell’Est Europa, la questione del necessario e opportuno bilanciamento fra libertà di stampa (e, ancora prima, libertà di informazione), tutela della privacy (anche nella ipotesi “degradata” che riguarda i personaggi pubblici) e tutela dell’onorabilità e dell’immagine nel caso di diffusione di notizie false o tendenziose.
La questione assume oggi particolare rilevanza anche a causa della incontrollabile portata deleteria dei social network (soprattutto a causa della sempre maggiore presenza di “leoni da tastiera” che lanciano fango e veleno su chicchessia), ma pure a causa del comportamento che taluni personaggi pubblici, ritenendosi intoccabili, pretendono dalla stampa: silenzio, complicità, omertà, lanciando neanche troppo velate minacce all’indirizzo di chi osa semplicemente informare i lettori con notizie vere e continenti che assumono particolare rilevanza. Talvolta le notizie riguardano i vertici di grandi società di capitali, talaltra magistrati o, ancora, politici, nazionali e locali, che mal sopportano il giornalismo d’inchiesta e che pretenderebbero, al contrario, una sorta di autocensura o, peggio, una sorta di impunità rispetto a notizie che, pur non di rilevanza penale, meritano di essere conosciute dal pubblico affinché quest’ultimo si faccia una opinione consapevole sulle qualità morali o sui comportamenti di tali personaggi.
D’altra parte, in una società come la nostra, in cui conta molto di più cosa si sembra rispetto a quel che si pensa, non è infrequente che il pubblico conosca la taglia dei calzoni di un attore (o, peggio, le misure dell’intimo di un’attrice o di uno scrittore) rispetto a quel che si pensa su temi di fondamentale importanza politica come l’eutanasia o la liberalizzazione delle droghe leggere, solo per fare due esempi.
Ciò che tuttavia appare preoccupante è la minacciosa tendenza che molti personaggi pubblici assumono nel momento in cui, di fronte a notizie non molto comode che li riguardano, preannunciano querele o azioni civili risarcitorie che, spesso del tutto infondate, hanno la sola finalità di intimorire il giornalista. Quando questi è un giovane precario, il risultato è il suo allontanamento, le eventuali scuse o, peggio, le rettifiche con la sola finalità di evitare di essere trascinati, per anni e neppure gratuitamente, per aule di giustizia.
Sarebbe opportuno allora, nel tentativo come già si diceva di bilanciare i diversi valori giuridici in contrasto, di apportare importanti modifiche alla legislazione vigente, eliminando, ad esempio, la responsabilità penale oggettiva del direttore della testata e, soprattutto, prevedendo la eventualità che di fronte a una querela (o a una azione risarcitoria civile) del tutto priva di fondamento, il giudice possa pronunciarsi sulla temerarietà dell’azione e condannare il querelante a un risarcimento pari ad almeno la metà di quanto richiesto, unitamente alla doverosa segnalazione dell’avvocato al competente Consiglio di disciplina perché ne valuti la correttezza dei comportamenti professionali. Ciò è quanto prevede la proposta di legge il cui primo firmatario è il senatore Di Nicola, non a caso giornalista di lungo corso, che mi parrebbe auspicabile possa giungere, prima della fine della legislatura, ad approvazione. Temo, tuttavia, che essa rimarrà silente proprio perché utilizzabile contro molti dei potenti che siedono fra gli scranni del Parlamento.
*Professore dell’Università degli Studi di Brescia
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