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Dopo la tragedia

La Marmolada e il riscaldamento globale

La vera notizia sulla Marmolada è che non c’è una notizia. A parte, ovviamente, le vittime umane. Ma perché sono così dissacrante? Perché su questa vicenda il solito tritacarne mediatico ci ha amm…

Pubblicato il: 07/07/2022 – 7:46
di Francesco Bevilacqua*
La Marmolada e il riscaldamento globale

La vera notizia sulla Marmolada è che non c’è una notizia. A parte, ovviamente, le vittime umane. Ma perché sono così dissacrante? Perché su questa vicenda il solito tritacarne mediatico ci ha ammannito di tutto e di più, tutto e il contrario di tutto: dimodoché, alla fine, quando torneremo ad immergerci nei mezzi di distrazione di massa (politica, pandemia e Ucraina), tutto resti com’era. Prendiamo, ad esempio, un grande esperto di montagne come Reinold Messner: prima se l’è presa con gli alpinisti, rei, a suo dire, di non aver previsto il pericolo; poi si è scusato e ha sostenuto di essere stato frainteso. E poi le inchieste, le polemiche, la ridicola “chiusura” della Marmolada etc.
Bene, dacché esiste Terra come noi la conosciamo, pareti, rupi e versanti delle montagne “crollano”. È questo il lento lavorio che la natura ha assegnato loro per trasferire a valle pietre e massi, far “viaggiare” gli inerti attraverso gli alvei dei fiumi, produrre sabbia, ripascere le spiagge. Lo stesso dicasi per i ghiacciai, che scaricano a valle il ghiaccio che si accumula durante l’inverno. Il ghiaccio forma i seracchi (enormi “torri” d’acqua congelata), preme, si spacca, scivola pian piano e si trasforma in liquido prezioso che va ad impinguare i torrenti.
Dunque, non c’è nulla di sensazionale in quel che è successo lo scorso 3 di luglio sulla Marmolada: se non vi fosse stato nessuno sotto la valanga di ghiaccio e roccia, l’evento non avrebbe conquistato le prime pagine dei giornali. Del resto erano già accaduti fatti di questo tipo: nel 2007, ad esempio, quando crollò la Cima Una nelle Dolomiti di Sesto; o nel 2013, quando crollò una parte del Gruppo del Sorapiss a Cortina; o, per restare in Calabria, nel 2008, quando le Gole del Raganello si riempirono a dismisura di acqua, fango e detriti, sotto l’effetto di una bomba meteorica. E potrei continuare all’infinito.
Il fatto è che i picchi, le pareti ed i ghiacciai delle Alpi e di tutte le montagne del mondo, in appena due secoli di storia sono passati da loci horridi (luoghi orridi, dove nessun valligiano aveva interesse ad andare) in loci amoeni (luoghi ameni, frequentati da frotte di turisti). È questo, infatti, il lasso di tempo da cui data, più o meno, l’invenzione dell’alpinismo, che si fa risalire al 1786, allorché il raccoglitore di cristalli Jacques Balmat, di Chamonix, e il medico torinese Michel Gabriel Paccard, su “istigazione” dello scienziato ginevrino Horace-Bénédict de Saussure, raggiunsero la vetta del Monte Bianco. Da lì la graduale ma dirompente “mutazione” sociale, culturale ed economica delle Alpi e delle comunità che le abitano.

Mountain Marmolada at sunset in Italy dolomites at summer

Per questo motivo la via “normale” della Marmolada, quel giorno era relativamente gremita di alpinisti. Ma sulla stabilità di quel versante nessuno aveva mai lanciato allarmi. Né gli alpinisti potevano immaginare che si staccasse dal ghiacciaio una massa così imponente. Come ha dichiarato il metereologo e glaciologo Luca Mercalli: non si possono certo “monitorare” tutti i 1.400 ghiacciai dell’arco alpino. E mi permetto di aggiungere: non si possono mettere dappertutto segnali di pericolo, semafori e display informativi. Che “avventura” sarebbe l’andare in montagna senza la componente del rischio? E che montagna sarebbe se vi trasferissimo tutte le sicurezze delle città?
Quel che invece avremmo dovuto e potuto controllare, da diversi decenni a questa parte – ossia da quando la comunità scientifica ha dato l’allarme – è l’immissione in atmosfera di enormi quantità di “gas serra” per consentire all’uomo (soprattutto quello “occidentale”) di fare la bella vita sprecando risorse a più non posso ed inquinando suolo, acqua e aria. Con l’illusione che tanto lo spirito umano, la scienza e la tecnica ci avrebbero procurato le “medicine” per curare la Terra. Salvo poi, abbandonare la Terra a sé stessa ed immaginare la colonizzazione (e la distruzione) di altri mondi sperduti nell’universo.
Per questo motivo, la frase pronunciata da Mario Draghi in visita sul luogo del disastro (“Non dovrà più accadere”), è solo frutto della solita retorica di una politica d’accatto. Altro conto sarebbe stato dire: “Sono costernato, faccio sentire la vicinanza dello Stato alle famiglie delle vittime, ci impegneremo ad una mitigazione dei rischi”. Ma dire che non accadrà più è una balla clamorosa. Capiterà ancora, invece, esattamente come è accaduto negli scorsi anni. Bisogna rassegnarsi allora? Certo che no. Occorre, invece, a mio parere, muoversi seriamente in due direzioni.
Per prima cosa bisogna capire che, se vogliamo mitigare siccità, fenomeni atmosferici parossistici, disastri naturali non si può giocare a rimpiattino con i cambiamenti climatici causati dall’uomo. E in questo il ruolo della scienza e del giornalismo – entrambi corrotti sino al midollo – è fondamentale. Basti ricordare un episodio emblematico di qualche decennio fa. La Exxon Mobil Corporation è una delle principali compagnie petrolifere statunitensi che opera sul mercato europeo col marchio Esso. Ebbene, proprio la Exxon, secondo un’inchiesta-ricerca della Harvard University, ben sapeva, sin dagli anni ’70 che l’uso di combustibili fossili era la prima causa del surriscaldamento dell’atmosfera. Ciò nonostante pagò sistematicamente scienziati e giornalisti per negare il fenomeno attraverso ricerche ed articoli che, pubblicati su autorevoli riviste, apparissero veritieri.

panoramic view of Marmolada glacier in Dolomites, Italy

Per decenni, dunque, pur dinanzi agli allarmi della comunità scientifica internazionale, nei talk televisivi venivano ospitati improbabili negazionisti con tanto di titoli accademici e famosi giornalisti che ci spiegavano esattamente il contrario di quanto ci hanno detto in occasione della pandemia e cioè che anche “la scienza è democratica” e si possono avere opinioni discordanti. E tuttavia, non dobbiamo illuderci: anche se oggi riducessimo drasticamente le immissioni di gas serra nell’atmosfera occorrerebbero almeno 50 anni per vedere qualche risultato concreto.
In secondo luogo occorrerebbe rendere sempre più consapevoli coloro che vanno in montagna. Anche nell’alpinismo e nell’escursionismo ha fatto il suo ingresso trionfante una sorta di “consumismo” dell’avventura. Per cui masse di cittadini abituate a vivere nella protezione, nei condizionamenti e nell’incoscienza tipica della vita urbana vanno in montagna in vacanza solo per assumere dosi di adrenalina a buon mercato. Non per nulla, con un inglesismo sintomatico, si parla di attività outdoor (fuori dalla stanza): la stessa gente che abusa di comodità e sicurezze, che spreca e si disinteressa, affronta poi, un giorno la settimana, ambienti privi delle protezioni urbane e dei quali ignora la storia, la geografia, i problemi. Il compito di rendere consapevoli – e quindi responsabili – queste masse di forsennati del divertimento e dell’atletismo in montagna tocca alle associazioni alpinistiche ed escursionistiche, che devono smetterla di limitarsi ad accompagnare i propri soci in gite dal sapore semplicemente ludico ed implementare invece cultura, istruzione e informazione sulla vita nelle montagna, in quelle “terre alte” che, di tanto in tanto, inesorabilmente ed incolpevolmente crolleranno, spazzando via dai loro fianchi frotte di umani intenti ad illudersi che la natura sia solo un trastullo per la nostra boria specista.
*Avvocato e scrittore

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