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«Il dito amputato e dato ai maiali». Il racconto da incubo del pensionato sequestrato a Reggio

L’accusa degli aguzzini: «Hai simulato una rapina per portarci via 180mila». L’allusione alla ‘ndrangheta. Poi le «torture» e quel «dolore sordo» nella ricostruzione degli inquirenti

Pubblicato il: 19/07/2022 – 6:59
di Pablo Petrasso
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«Il dito amputato e dato ai maiali». Il racconto da incubo del pensionato sequestrato a Reggio

REGGIO CALABRIA «La falangetta che mi hanno amputato l’hanno tirata ai maiali e infatti sentivo dire a uno dei due: “Guarda, già i maiali si sono mangiati il dito, figurati se gli buttiamo a lui intero”. A quel punto non ricordo se Mario o l’altro uomo mi dissero che anche a mio cugino prima o poi avrebbero fatto fare la mia stessa fine ovvero mangiato dai maiali». È un racconto dell’orrore quello dell’anziano sequestrato e mutilato a Reggio Calabria. Il gip Vincenzo Quaranta ha disposto la misura cautelare in carcere per i tre uomini ritenuti responsabili del sequestro: Renato Chirico Mediati, 55 anni; Mariano Domenico Corso, 32 anni; Manuel Monorchio, 26 anni.  
Tremenda la scena che si è presentata ai carabinieri di Reggio Calabria nella stalla in cui l’uomo era stato gettato. I militari sono stati “guidati” dai gemiti nelle stalle: in quella centrale c’era «una persona legata mani e piedi con fascette stringenti di colore nero, nastro da imballaggio e catena, nonché imbavagliato con cellophane e nastro da imballaggio di colore marrone». L’anziano, appunta il gip, urlava disperato, aveva abrasioni alle braccia e gli era stata recisa la prima falange del mignolo della mano sinistra. 

Una giornata normale si trasforma in un incubo

La storia del 72enne è quella di un uomo che in una giornata ordinaria, si trova catapultato in un incubo. Quando Rocco Chirico passa da casa sua, l’anziano crede che sia andato a portargli la tessera sanitaria – che sarebbe arrivata a casa di Chirico, dove il 72enne ha trasferito la propria residenza. L’amico però fa un giro diverso e si dirige in un fondo agricolo. È lì che si consuma l’agguato. L’anziano arriva in una porcilaia: ci sono due uomini ad attenderlo. Uno dei due – «ho conosciuto questo Mario circa tre anni fa» – lo aggredisce verbalmente. «Dimmi dove sono i soldi? I soldi sono a Gallico», avrebbe detto. «A quel punto – riferisce la vittima agli inquirenti – ho chiesto a Mario di quali soldi stesse parlando. Allora è intervenuto l’altro uomo che, tenendo in mano un’ascia, mi diceva: “Ti conviene parlare perché da qua non te ne vai più. Ti facciamo mangiare dai maiali. Tu con chi ti sei messo d’accordo? Con altre persone? Dicci chi sono che poi ce la vediamo noi». 

L’accusa degli aguzzini: «La rapina a Palermo l’hai organizzata tu»

Interviene, poi, Mario: «Pasquale, io ti voglio aiutare. Dimmi dove sono i soldi anche se mancano qualche decine di migliaia di euro o anche metà. Ce la vediamo noi. Dicci con chi ti sei messo d’accordo. La rapina del furgone a Palermo l’hai organizzata tu e lo sappiamo con certezza perché abbiamo scoperto il tuo cellulare a Gallico».
È a questo punto che l’anziano capisce quale sia il motivo delle minacce: «Facevano riferimento alla rapina che ho subìto a Palermo l’1 giugno 2022 quando, a bordo del mio furgone, mi ero recato a Palermo a consegnare un pacco per conto di Mario presso una farmacia». Quello che la vittima del sequestro pensa sia una “normale” rapina è, per le persone che gli tendono l’agguato, un disastro. Il 72enne lo scopre nella porcilaia in cui finirà legato e mutilato. «Mario, a quel punto, mi diceva che l’1 giugno 2022 sul mio furgone c’erano 180mila euro, continuando a sostenere che lui si era convinto che io avessi organizzato una finta rapina al fine di impossessarmi di quella ingente somma. (…) Io continuavo a sostenere di essere completamente ignaro sia dei soldi che trasportavo sia di chi avesse potuto impossessarsene». 

Il «dolore sordo»: «Mi hanno amputato la falangetta del mignolo»

A quel punto «Mario e l’altro uomo mi legavano mani e piedi con fascette di plastica e nastro adesivo. Mi legavano ulteriormente i piedi con una catena che era attaccata a un paranco appeso. Mi imbavagliavano con un foulard e mi lasciavano a terra con la faccia rivolta verso il pavimento». È l’inizio dell’incubo. «Lo sai che facciamo, iniziamo con un dito», avrebbero detto. «E a quel punto sento – continua la vittima – perché, come ho specificato prima, mi veniva difficile vedere, che i due si avvicinano a me e mi afferrano le mani legate e a un certo punto sento un dolore sordo e capisco che mi era stata amputata la falangetta del mignolo della mano sinistra. Presumo che per fare ciò, si siano serviti di un’accetta che poco prima avevo visto brandire dal soggetto in compagnia di Mario». «Si può parlare di vera e propria tortura, non vi è altra definizione praticabile», scrive il gip. 

L’allusione alla ‘ndrangheta

Per la Procura di Reggio Calabria, i reati sarebbero stati commessi con l’aggravante mafiosa. Secondo la testimonianza della vittima, infatti, gli indagati avrebbero accompagnato «l’orrenda azione con la più tipica allusione alle sottostanti dinamiche mafiose e alla finalità agevolativa delle cosche locali». Questo il racconto: «Mi ripetevano che li avevo rovinati e lasciati con il “culo per terra” perché loro con quel denaro “davano da mangiare pure ai carcerati” e mi invitavano a restituirgli le somme». (p.petrasso@corrierecal.it)

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