«Il poema più bello e l’invidia degli Dei»
Scritto durante gli anni della giovinezza a Recanati, l’Infinito è forse la poesia più bella del mondo, semmai fosse possibile stilare una graduatoria di merito. Influenzato da uno stile spinoziano…

Scritto durante gli anni della giovinezza a Recanati, l’Infinito è forse la poesia più bella del mondo, semmai fosse possibile stilare una graduatoria di merito. Influenzato da uno stile spinoziano, il poema attraversa sensibilmente le fasi dell’anima , l’osservazione acuta e attenta dell’indefinitezza, la contraddizione umana. Senza analizzare tutta la perifrasi , l’infinito si pone per Leopardi in una condizione metafisica. Il colle sempre caro è il punto privilegiato della riflessione ma anche la rimembranza di una bellezza profonda che per poco non fa sprofondare il cuore. Il genio marchigiano introduce la parte finale di questo breve manoscritto ( conservato alla biblioteca nazionale i Napoli nella copia originale ) virando sull’eterno e le morte stagioni e la presente e viva, il suono indelebile della primavera. Il suo coinvolgimento totale esplode in un finale epico che sigilla l’impossibilità di resistere alla bellezza malinconica, ossimoro di una vita comune. Quel naufragar dolcemente nel mare non è l’anticipazione del masochismo collettivo ma la sensazione fisica dell’invidia degli Dei, lo stato in cui la felicità non può essere concessione umana ma è , paradossalmente, autopunizione. Come ricorderà Benedetto Croce, l’infinito è l’espressione più autentica della poetica leopardiana. La dimensione del futuro è vissuta , alla stregua del presente, come una pia illusione. Il recinto che separa l’uomo dalla felicità, simboleggiato dalla siepe, è il muro divisorio tra ciò che si anela e il rapporto con la realtà. Dall’incipit alla chiusura, l’idillio riporta all’infinito assoluto di Spinoza e si arma di un misticismo che ora rapisce, ora consola e ora inquieta. Nell’accompagnamento alla frase finale, che diventerà eterno cult di generazioni, Leopardi annega il suo core metaforicamente in un’immensità dominante , che non lascia spazio ad altro se non alla fusione con la natura. Fase transitiva fra romanticismo e post romanticismo, la poesia si configura come un quadro celebrativo della bellezza umana, intesa etimologicamente come bontà, seppure in un quadro di decomposizione ineludibile che la vita attraversa ( il pessimismo cosmico ) come condizione intangibile per l’uomo.
Nella sua magnificenza , l’infinito è il manifesto costante della malinconia umana, interrotta da gioie e proiettata verso una dimensione che rappresenta a suo modo una speranza. E nella speranza, l’attesa».
*Giornalista