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Lotta alle cosche

I cantieri edili piemontesi nelle mani delle ‘ndrine. Ecco come i clan facevano soldi

Chiuse le indagini dell’operazione “Cavallo di Troia”. I pm della Dda torinese fanno luce sugli affari dei Bonavota nella zona

Pubblicato il: 01/08/2022 – 11:52
I cantieri edili piemontesi nelle mani delle ‘ndrine. Ecco come i clan facevano soldi

TORINO «Ascolta, prendi un pezzo di carta e una penna, e fai come ti dico io: non usare la testa prima di romperla. Perché loro il lavoro ce l’hanno per cinque mesi. E gli operai ci servono solo per un mese: vanno per un mese e lavorano per un mese, ok?». Sono le intercettazioni finite nel fascicolo d’indagine dell’operazione “Cavallo di Troia” coordinata dalla Distrettuale antimafia di Torino contro le cosche di ndrangheta operative in Piemonte. Un’inchiesta che ha ricostruito le attività di un’organizzazione legata al clan Bonavita dal 2011 al 2019 capace di infiltrarsi in molti lavoro edili in varie aree del Piemonte.
L’inchiesta, che vede coinvolti tra gli altri Giuseppe Mandaradoni e il fratello FrancescoCosimo Cirillo, il commercialista Luca Baldanzi, ha portato al sequestro di due milioni e mezzo di euro. Le accuse contestata della Procura antimafia sono quelle di concorso esterno alla ‘ndrangheta e reati fiscali e fallimentari aggravati dall’agevolazione mafiosa.
Un’inchiesta che si è avviata alla conclusione dell’indagine notificata a tutti e 12 gli indagati.
Negli atti compaiono cantieri edili spariti nel nulla, dipendenti fittizi e operai mai pagati.
Fiumi di denaro provenienti da appalti pilotati e dirottati da una società ad un’altra per poi essere incamerati, secondo l’accusa, da presunti affiliati alle cosche di ‘ndrangheta.
Dal fascicolo dell’inchiesta, emerge come i cantieri sarebbero stati il sistema per permettere «al sodalizio operante sul territorio piemontese di accrescere la propria forza economica e la propria capacità d’intimidazione, attraverso il rafforzamento del legame con la cosca Bonavota, effettuando regolari pagamenti agli affiliati» o assumendone fittiziamente altri.
Non solo i cantieri, si legge sempre negli atti d’inchiesta, sarebbero stati utili ad «acquisire in modo diretto, mediante intestazione fittizia di società ed imprese artigiane, ed indiretto, attraverso servizi di protezione e di recupero crediti, il controllo di attività economiche nel settore edilizio, dei trasporti, del commercio di automobili».
Questo al fine di permettere all’«associazione, nei cui confronti mantenevano relativa autonomia, agendo per tornaconto personale e tuttavia con la consapevolezza di contribuire così alla permanenza e al consolidamento del sodalizio criminoso, di conseguire le sue finalità e di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche».
E l’inchiesta ricostruisce anche un meccanismo di fallimenti pilotati messo in piedi dal sodalizio. Questo per commettere anche reati fiscali e assorbire altre risorse per garantire soldi freschi ai clan. E per questo, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l’organizzazione puntava ad individuare uomo da utilizzare come “testa di legno” per le imprese fantasma.
«Non ho mai fatto l’amministratore prima – aveva detto, interrogato, uno di questi – ogni tanto andavo col camion in qualche cantiere della società, come la Continassa. Erano lavori di carpenteria, cemento armato. Alla Continassa c’erano più ditte che lavoravano, 25 o 30 i dipendenti di Cdm. Ogni ditta aveva il suo lotto e la sua zona dove lavorare».

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