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Veltroni non era mai stato comunista?

Nessuno prima di Veltroni, più di venti anni fa, aveva osato affermare con tanta chiarezza: Non sono mai stati comunista. Parole che provocarono sconcerto, ira, repulsione nel mondo della sinistra…

Pubblicato il: 04/08/2022 – 7:36
di MASSIMO VELTRI
Veltroni non era mai stato comunista?

Nessuno prima di Veltroni, più di venti anni fa, aveva osato affermare con tanta chiarezza: Non sono mai stati comunista. Parole che provocarono sconcerto, ira, repulsione nel mondo della sinistra, fra militanti e dirigenti, che presero alla lettera quel grido sofferto ma inequivocabile lanciato da chi nel Pci c’era nato e cresciuto, formatosi sotto gli occhi di Berlinguer che gli fu padre e maestro, dichiarato e riconosciuto, che aveva ricoperto ruoli di grande responsabilità sotto la bandiera con la falce e il martello. Certo, era stato tranchant e anche un po’ criptico nell’asserire una verità per lui netta ma che ai più appariva un vero e proprio ossimoro. Cosa voleva intendere Walter Veltroni, ma che non si fece strada lungo la gran parte del corpo che orbitava intorno al Pci-Pci che già Occhetto gli aveva cambiato nome e facciata ma solo facciata fermandosi a una incompiuta ambigua quanto incompresa-la gran parte dei rivoli e dei percorsi che costituivano la rete di un partito che, ancora, era un partito di massa? Non fu, questo è certo, un’uscita estemporanea né un’alzata di testa in solitaria. Già da tempo, e la svolta della Bolognina ne era l’esempio più concreto, si agitava nei piani alti di Botteghe Oscure l’insofferenza per una stagnazione in cui versava la politica del più grande partito dell’Occidente. Una politica che via via si era tentato di aggiornare modulandola in sintonia con i paradigmi di una realtà sempre più cangiante, vorticosamente, e su più fronti: società liquida, globalizzazione, informatizzazione, nuovi diritti, nuove sensibilità, accanto a ‘vecchie’ questioni sempre reali, sempre da risolvere. Vecchie questioni come ingiustizia sociale, lavoro, welfare, redistribuzione della ricchezza (accanto alla formazione della ricchezza… ). Con Berlinguer si era raggiunto il punto più avanzato e alto possibile, per quel mondo, per quel tipo di politica, sfregiato dalla incomunicabilità o forse dalla vera e propria non volontà di cercare e coltivare, costruire un rapporto reale e proficuo con il Psi. Era giunto il momento di svoltare. E l’Ulivo questo era, voleva essere: una macchina, non di guerra come quella asfaltata da Berlusconi vs Occhetto, ma un laboratorio, subito chiamato all’impegno del governo del paese, con sinistra, laici, cattolici. Poi andò come andò e puntualmente, e oggi più che mai, ci si chiede perché non nasce una sinistra unita, forte e vincente: non essere stati al passo con l’incalzare dei tempi, con i mutamenti degli scenari può essere un abbozzo di risposta. Ma la questione essenziale è a quale sinistra ci si riferisce, e a chi potrebbe tessere le fila e ricercare la sintesi di una trama fatta di oscillanti posizionamenti e altrettanti indeterminatezze. La sinistra del terzo millennio è, insomma, in cerca di una sua identità: può esserci una sinistra di rappresentanza e una sinistra di responsabilità, una che, così sembrava, ha scelto la via, quanto mai e sempre più impervia del cimentarsi con la sfida del governo, l’altra una sinistra di protesta e opposizione non si sa quanto utile e auspicabile. In ogni caso una sinistra da ricomporsi attraverso le tessere di un puzzle che devono avere la cornice della sostenibilità e della condivisione, certo, della solidarietà e della giustizia sociale, ma come ci ricorda Claudia Mancina, deve fare i conti una volta per tutte con il suo passato. Un passato che pare incombere a ogni tornante della storia, fra il censurato o annacquato, la nostalgia e la Storia maldigerita. Veltroni era stato comunista, come tanti di noi, e non poteva non esserlo, per tutto quel che significava, imponeva e richiedeva in quegli anni. Poi si accorse che gli scenari erano mutati e che occorreva altro: ancor più occorre oggi e la scelta maggioritaria oggi più che mai reclama nette scelte di campo, alleanze senza sotterfugi e ambiguità: perché se la sinistra del terzo millennio vuol fare la sinistra che combatte le ingiustizie, se è quella della solidarietà, del lavoro, della sostenibilità, vuol cambiare le cose, deve lasciar da parte gli slogan e le nostalgie, ma deve misurarsi con la realtà e dare il meglio di se’, non ha che farsene di velleitarismi ingenui e sterili.

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