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Le armi nel passeggino e gli agganci all’ufficio postale per i traffici. Mantella “racconta” il clan Anello

Nella sentenza Imponimento emerge la stretta della cosca sul territorio. Il figlio del boss Mancuso: «Rocco Anello mi disse: “Qui comando io”»

Pubblicato il: 08/08/2022 – 6:57
Le armi nel passeggino e gli agganci all’ufficio postale per i traffici. Mantella “racconta” il clan Anello

LAMEZIA TERME Vincenzino Fruci è, per uno dei pentiti chiave nella ricostruzione delle vicende della ‘ndrangheta nel Vibonese, «uno dei maggiorenti» del clan Anello. Andrea Mantella descrive così un affiliato «con disponibilità di sostanze stupefacenti e di armi, anche quelle utilizzate per l’omicidio Cracolici», vicenda per la quale Fruci ha riportato una condanna, non ancora definitiva, nel processo “Conquista”. Il collaboratore di giustizia aveva «rapporti solo con i vertici di quella cosca e cioè con Rocco Anello, Tommaso Anello, Vincenzo Fruci, Giuseppe Fruci, Michienzi e colui il quale ha partecipato all’omicidio di Raffaele Cracolici del quale ho già fatto il nome». Le motivazioni della sentenza pronunciata al termine del processo Imponimento incardinato con il rito abbreviato descrivono ruoli e rapporti di forza all’interno della cosca i cui affari si dipanano tra Filadelfia e San Nicola da Crissa.

Quando Anello disse a Emanuele Mancuso: «Vedi che qua ci sono io»

Un clan che non viene spesso menzionato tra i più potenti della regione; la sua morsa sul territorio è, però, sempre stata asfissiante. Lo si coglie – tra gli altri – in un passaggio che la sentenza lascia raccontare a Emanuele Mancuso, figlio di uno dei capi storici della cosca di Limbadi, oggi pentito. La storia è quella del danneggiamento di una piantagione di marijuana impiantata da Mancuso nell’area di pertinenza del clan di Filadelfia. Il figlio del capoclan attribuisce lo sfregio a un gommista e lo addita come confidente dei carabinieri. Si aspetta, se non altro per rispetto al proprio lignaggio mafioso, che Anello prenda le sue parti. Accade il contrario. «Non era bene disposto nei nostri confronti, prese le difese del gommista, ci chiese se avevamo prove concrete della sua responsabilità per il furto della marijuana e ci disse chiaramente che in ogni caso dovevamo lasciarlo stare. Non si oppose all’idea che potessimo coltivare piantagioni a Capistrano, tuttavia, con sguardo minaccioso, per due volte mi disse “Vedi che qua ci sono io”, cosa che mi è rimasta molto bene impressa nella memoria».

Le armi nel passeggino e l’ufficio postale a disposizione del clan

Dagli Anello, dunque, non si poteva prescindere in quell’area al confine tra le Serre e il Lametino. E diversi erano i contatti e i traffici del clan con le ‘ndrine del Vibonese. Ancora Mantella ricorda gli incontri per la consegna di «due o tre chili» di cocaina all’interno di un vivaio. E poi i contatti per lo smercio di armi. «Tramite gli Anello – racconta Mantella – i Bonavota hanno avuto anche delle armi che in alcune occasioni venivano spedite all’ufficio postale di Acconia di Curinga dove evidentemente gli Anello potevano contare su qualche compiacente. In particolare, ricordo che una volta Domenico Bonavota chiese a me e a Fortuna di fare un salto ad Acconia vicino all’ufficio postale e lì Vincenzo Fruci si recò nell’ufficio e uscì con un pacco contenente un passeggino all’interno del quale erano custodite due o tre armi lunghe. Io ho avuto modo di vedere sia il passeggino, sia al suo interno le armi lunghe imballate. In quest’occasione le armi erano state spedite dal Piemonte da Salvatore Arona, zio dei Bonavota, il quale aveva effettuato la spedizione a una casella postale nella disponibilità degli Anello, appunto presso l’ufficio postale di Acconia». Anche in un’altra occasione Mantella avrebbe assistito «al prelievo di armi nell’ufficio postale di Acconia». Capitò «in coincidenza con l’omicidio di Raffaele Cracolici: anche in quell’occasione ci recammo con Fortuna ad Acconia dove Vincenzo Fruci entrò nell’ufficio postale e portò fuori un pacco tutto imballato all’interno del quale c’erano dei fustini di cartone con all’interno due o tre armi lunghe che poi successivamente vennero usate per l’omicidio di Raffaele Cracolici». (ppp)

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