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l’inchiesta

Trentuno colpi (a vuoto) contro Signoretta. I ruoli nel commando e i favoreggiatori della latitanza – NOMI

Otto gli indagati dalla Dda di Catanzaro. Tra loro anche chi aiutò Giuseppe Campisi a nascondersi a Roma

Pubblicato il: 12/08/2022 – 15:23
di Alessia Truzzolillo
Trentuno colpi (a vuoto) contro Signoretta. I ruoli nel commando e i favoreggiatori della latitanza – NOMI

CATANZARO Quattro persone coinvolte nel tentato omicidio di Dominic Signoretta e altre quattro indagate perché avrebbero aiutato Antonio Campisi e Giuseppe Campisi ad eludere le indagini e a sottrarsi alle ricerche dell’autorità giudiziaria.
Sono otto gli indagati intorno ai quali la Dda di Catanzaro ha chiuso il cerchio e ai quali ha notificato l’avviso di conclusione indagini vergato dal procuratore Nicola Gratteri e dal sostituto Annamaria Frustaci.
Secondo la ricostruzione investigativa gli istigatori e organizzatori dell’attentato a Dominic Signoretta, avvenuto a Ionadi il 19 maggio 2019, sono Antonio Campisi, 31 anni, di Nicotera, e Rocco Molè, 27 anni di Polistena (nella foto).
Avrebbero progettato l’omicidio per vendicare la morte di Domenico Campisi (padre di Antonio Campisi) che, secondo i racconti del collaboratore di giustizia Arcangelo Furfaro, era da attribuirsi a Dominic Signoretta e a Giuseppe Mancuso, classe ’98, figlio di Pantaleone “l’ingegnere”. 

Trentuno colpi (a vuoto) contro la vittima designata

Antonio Campisi e Rocco Molè si sarebbero procurati – da soggetti al momento ignoti – una macchina rubata e le armi. Il 16 maggio 2016 avrebbero effettuato un sopralluogo a Ionadi vicino all’abitazione di Signoretta e anche in località Nato (nel luogo in cui successivamente sono state trovate bruciate l’auto e le armi utilizzate).
Molè e Campisi, il 19 maggio 2019 si sono recati, a bordo di una Fiat Uno rubata nel comune di Riace, vicino a casa di Signoretta, con una terza persona non identificata, e qui hanno tentato di dare esecuzione all’omicidio sparando contro la vittima 31 colpi d’arma da fuoco di diverso calibro (una Beretta 98Fs, un fucile e una pistola mitragliatrice), tutti a distanza ravvicinata.
Dominic Signoretta sfugge alla morte riparandosi dietro il muretto del cortile dell’abitazione nella quale si trovava, all’epoca dei fatti, ristretto agli arresti domiciliari in seguito a una condanna riportata per detenzione di un ingente quantitativo di armi.
A dare un contributo all’agguato secondo gli investigatori del Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, insieme alla Squadra Mobile di Vibo Valentia, sarebbero stati anche  Simone Ficarra, 30 anni, di Gioia Tauro, e Antonio Galatà, 27 anni, di Polistena. Il primo è accusato di avere fatto da autista per  il commando che voleva far fuori Signoretta.
Galatà, invece, avrebbe recuperato il gruppo dopo la sparatoria, raggiungendoli nel luogo in cui sono state incendiate l’auto rubata e le armi. 
Agli indagati viene contestato di avere detenuto illegalmente e portato in luogo pubblico armi comuni da sparo. Viene, inoltre, contestata l’aggravante mafiosa poiché l’agguato sarebbe stato compiuto per agevolare e rafforzare le famiglie di ‘ndrangheta dei Piscopisani e degli Emanuele, rivali della cosca Mancuso di Limbadi alla quale era vicino Signoretta. Anche Antonio Campisi originariamente era vicino ai Mancuso ma se ne era allontanato dopo l’omicidio del padre Domenico.

I favoreggiatori

Ad aiutare Antonio Campisi nella latitanza, fornendogli rifugio e assistenza nell’immobile di loro proprietà ad Ardore sarebbero stati due anziani: Mariantonia Longo, 80 anni e Vincenzo Tallariti, 90 anni. È nell’abitazione dei due che Campisi è stato catturato il 17 dicembre 2021.
Le indagini hanno permesso di aprire una nuova parentesi e di porre sotto indagine anche coloro che avrebbero coperto la latitanza di Giuseppe Campisi, 62 anni, zio di Antonio Campisi, che si dava alla macchia dal 23 ottobre 2019, sottraendosi a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Catanzaro nell’ambito dell’operazione della Dda del capoluogo denominata “Ossessione”, nella quale Giuseppe Campisi era indagato per delitti di narcotraffico. L’uomo è stato catturato il 4 marzo scorso a Roma, dove era supportato, secondo l’accusa, da Francesco Agostino, 37 anni di Nicotera e Giuseppe Buccafusca, 54 anni, di Nicotera. Secondo quanto emerso dalle indagini, durante la latitanza Campisi, per evitare di essere riconosciuto, avrebbe usato parrucche e documenti contraffatti, fra cui anche un green pass falso. Anche Giuseppe Campisi era vicino alla cosca Mancuso ma se ne era allontanato dopo l’omicidio del fratello Domenico. Gli indagati sono difesi dagli avvocati Giovanni Vecchio, Alessandro Bavaro, Guido Contestabile, Gianfranco Giunta, Miriam Stasi.
(a.truzzolillo@corrierecal.it)

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