La scritta che compare in una delle vie di Cosenza, a firma di Autonomia Operaia, non contiene il punto interrogativo del titolo. Ormai è un murales, probabilmente datato subito dopo ciò che accadde quella maledetta notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969 alla Questura di Milano.
C’era stata la bomba di Piazza Fontana, inizio cruente di una stagione che sarebbe durata oltre un decennio e avevano subito pensato alla pista anarchica.
Prima di volgere drammaticamente lo sguardo verso il povero Valpreda, la polizia fermò lui, Giuseppe Pinelli, ferroviere, anarchico, giovanissimo partigiano.
E si che il commissario Luigi Calabresi, destinato tragicamente ad accompagnare nella morte Peppino, conosceva bene quel ferroviere aspro, ruvido, dichiaratamente seguace di Gaetano Bresci.
E sapeva, in cuor suo, che non poteva essere lui ad avere azionato la bomba nella Banca dell’Agricoltura.
Pinelli fu interrogato brutalmente, per quasi due giorni interi. Forte la rabbia per i caduti di piazza Fontana, forte la voglia di consegnare il colpevole ufficiale a un’Italia che ancora peregrinava negli anni del boom e che si apprestava a conoscere il lato oscuro della luna.
Difficile pensare che Pinelli sia volato via da solo da quella finestra del commissariato e che, se anche così fosse stato, ciò non era che imputabile alla tortura subita.
Era fiero di essere anarchico, Giuseppe, militante di quel corpo dello Stato, le ferrovie, da sempre fucine di socialismo e ribellione.
Quel volo verso la morte fu liquidato come una sorta di scrupolo tardivo dal questore Giuda nella conferenza stampa accanto a Calabresi.
Pinelli, in sostanza, si era reso conto di avere ucciso una marea di innocenti e, preso dal rimorso, aveva deciso di mettere fine alla sua vita.
Una versione cui la sinistra culturale non credette sin dall’inizio, portando avanti una controinchiesta che colpiva il Politburo democristiano, inscalfibile e omertoso che di lì a poco spostò le sue attenzioni sul ballerino Valpreda.
Solo dopo qualche anno il potere ufficiale sarà costretto ad ammettere che il sig. Giuseppe Pinelli era completamente innocente.
E se morte chiamava morte nella triste equazione di quegli anni, Lotta Continua inizierà una campagna d’odio contro Calabresi, culminata nel suo omicidio.
Nessuno mai troverà il vero colpevole di quella strage ridotta. Non era Calabresi il responsabile degli interrogatori, né di quella caduta probabilmente accompagnata da una mano protetta.
E così l’anarchico Peppino, come tanti altri che gli sarebbero succeduti, fu portato come Isacco al martirio. Senza qualcuno che fermasse prima il suo, sedicente carnefice.
*giornalista
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