LAMEZIA TERME È la debolezza strutturale del sistema imprenditoriale calabrese coniugata alla povertà diffusa del tessuto socio-economico locale, che sta fungendo da moltiplicatore degli effetti negati dell’avversa congiuntura, che sta interessando l’economia italiana e non solo. Una spirale che rischia di soffocare anche nel prossimo futuro le sparute possibilità della Calabria di recuperare terreno, rispetto al resto del Paese. Così la regione subisce pesantemente – più delle altre – l’impennata dei prezzi delle materie prime, dell’energia e dell’inflazione galoppante. Lascito tossico della guerra in Ucraina e di fenomeni speculativi messi in atto approfittando del quadro di incertezze che si respira nel Paese. Congelando la timida ripresina che aveva interessato anche la Calabria nel corso del 2021. Luca Bianchi, direttore della Svimez, analizza al Corriere della Calabria il delicatissimo momento che vive la regione. Una regione che sconta la forte dipendenza energetica del suo sistema imprenditoriale più produttivo – quasi il 10% del totale del valore aggiunto (la media nazionale si ferma all’8,5%) – con una percentuale più alta di lavoratori “poveri”: due su dieci con meno del 60% del reddito medio nazionale.
Per questo Bianchi, motiva la forte frenata della crescita già da quest’anno registrata dalla Svimez e l’azzeramento per i prossimi anni. Ma non tutto è perduto. «Per invertire la marcia – afferma Bianchi – molto dipenderà dalle scelte politiche che verranno fatte, dalle misure correttive che si riterrà di apportare, ad esempio alle procedure di assegnazione delle risorse; che restano da allocare agli enti territoriali per correggere le distorsioni del sistema dei bandi, o da eventuali cambi ai vertici della governance del Pnrr». E sarà il nuovo governo ad essere chiamato da un verso ad «affrontare la difficile congiuntura che si è creata» e dall’altro a «dare continuità all’attuazione del Pnrr». Con un occhio attento alla compensazione dei divari esistenti tra nord e sud. Su questo Bianchi chiede chiarezza ai partiti sul «percorso di attuazione dell’autonomia differenziata» che intendono perseguire.
La Calabria più di altre regioni del Sud sta risentendo dell’incertezza dell’attuale scenario globale. A partire dalla guerra in Ucraina. Eppure non ha rapporti commerciali importanti con quel Paese. A cosa ascrivere questo fenomeno che di fatto ha ghiacciato il rimbalzo in atto anche nella regione?
«L’incertezza del quadro politico ed economico nazionale ed internazionale sta indebolendo la crescita italiana e aumenta il divario Nord-Sud. Questo vale anche per la Calabria che, dopo una buona ripresa del Pil nel 2021 (+5,6%) rischia di scontare pesantemente gli effetti della crisi ucraina e dello shock sui prezzi delle materie prime, a partire dall’energia. Le nostre previsioni indicano un calo della crescita regionale all’1,9% nel 2022 e un crollo allo 0,1% nel 2023. Infatti, se è vero che i rapporti commerciali della Calabria con Russia e Ucraina sono limitati (il valore delle merci esportate nei due paesi in conflitto è inferiore al 3% dell’export calabrese), dall’altro lato le imprese calabresi stanno subendo forti ripercussioni sul fronte dei costi di produzione a causa della crisi energetica, soprattutto per il maggiore peso dei settori ad alta intensità energetica che incidono per quasi il 10 per cento sul totale del valore aggiunto regionale contro l’8,5 per cento in Italia. Pesa soprattutto l’aumento dei costi di trasporto su gomma. A ciò si aggiunge il calo dei consumi indotto dalla crescita dei prezzi».
E anche la dinamica inflazionistica in atto sembra pesare maggiormente sulle tasche dei calabresi. Dalle vostre stime i consumi in Calabria dovrebbero subire una contrazione maggiore rispetto al resto del Paese. Come motivate questo fenomeno?
«È infatti soprattutto la dinamica inflazionistica che preoccupa sia per i suoi effetti economici sia soprattutto per i possibili impatti sociali. La spirale inflazionistica che riguarda soprattutto beni alimentari e costi dell’energia impatta sulle famiglie meno abbienti, concentrate nelle regioni meridionali, e di conseguenza sui consumi. Questo erode il reddito disponibile delle famiglie più fragili, più diffuse in Calabria, con il rischio di un ulteriore scivolamento delle famiglie calabresi vero la povertà. Ricordo che in base a stime Svimez in Calabria i working poors, cioè lavoratori poveri (con un reddito inferiore al 60% della media) rappresentano circa il 20% dei dipendenti contro l’8% della media nazionale. Senza ulteriori interventi urgenti, volti a mitigare l’impatto dell’incremento dei prezzi sul potere d’acquisto delle famiglie meno abbienti, potrebbero determinarsi effetti sociali preoccupanti».
La stessa situazione registrata a seguito delle fibrillazioni politiche: il clima di instabilità genererebbe un quadro economico che penalizzerebbe maggiormente il Sud e la Calabria in particolare?
«Come detto, servono da un lato interventi urgenti per ridurre l’impatto sociale dell’inflazione che un governo dimissionario ha più difficoltà a emanare, soprattutto in un clima di campagna elettorale. Inoltre, più in generale, la Calabria e il Sud hanno bisogno di investimenti. Il primo fattore che guida le decisioni di ampliamento della capacità produttiva delle imprese è il clima di fiducia, che è crollato con la guerra. L’instabilità politica ha peggiorato la situazione. I mercati finanziari per ora aspettano alla finestra, ma se dovessero generarsi tensioni sul debito italiano, le ripercussioni sul costo del denaro sarebbero più forti per le imprese meridionali, finanziariamente più dipendenti dal sistema bancario e per le quali è già più strutturalmente complicato accedere al credito».
Sempre sul fronte politico in evoluzione, ci sono timori diffusi sul rispetto degli impegni dettati dalla tempistica e dalle condizionalità legate al Pnrr. Quali conseguenze potrebbe generare una brusca interruzione degli aiuti legati al Pnrr per una regione così fragile come quella calabrese?
«Esistono dei rischi, perché la concessione della prossima rata di finanziamento del Pnrr è legata al raggiungimento degli obiettivi previsti al 31 dicembre 2022 ma siamo fiduciosi che le strutture tecniche dei Ministeri proseguano a lavorare nonostante la crisi. Ma ci sono ancora dei nodi irrisolti nell’attuazione del Pnrr che vanno affrontati per evitare che il Piano nazionale fallisca nell’obiettivo di ridurre i divari territoriali. I nodi verranno al pettine con l’insediamento del nuovo esecutivo. Molto dipenderà dalle scelte politiche che verranno fatte, dalle misure correttive che si riterrà di apportare, ad esempio, alle procedure di assegnazione delle risorse che restano da allocare agli enti territoriali per correggere le distorsioni del sistema dei bandi, o da eventuali cambi ai vertici della governance del Piano. Innanzitutto, va ricordato che la quota Sud del 40% non è un risultato acquisito dal governo uscente, ma un impegno sugli stanziamenti che dovrà essere verificato dopo la realizzazione degli interventi. In tema di diritti di cittadinanza, il sistema dei bandi per il finanziamento degli investimenti in infrastrutture sociali che vedono i Comuni come soggetti attuatori si è rivelato inefficace, riflettendo la geografia delle capacità progettuali degli enti locali, maggiori al Nord, piuttosto che quella degli effettivi fabbisogni di investimento dei residenti, più elevati al Sud. Come si pensa di correggere questa distorsione per le risorse che restano da allocare? E per l’attuazione degli interventi, si ritiene che la governance del Pnrr abbia previsto un supporto adeguato agli enti locali o servono nuovi strumenti di accompagnamento?».
Già oggi registrate divari importanti nella tempistica di realizzazione degli interventi programmati con Pnrr. Cosa fare per accelerare la capacità di messa a terra dei progetti degli enti locali calabresi?
«Fino a maggio di quest’anno agli enti locali calabresi sono stati assegnati 1,8 miliardi di euro per interventi da realizzare entro il 2026, 974 euro pro capite contro i 576 nella media nazionale. Questo è un dato che dà la misura dello sforzo realizzativo al quale sono chiamati soprattutto i comuni calabresi. In Calabria, i Comuni per realizzare le infrastrutture sociali impiegano mediamente 1.183 giorni (oltre 3 anni), 420 giorni in più della media nazionale. Se gli enti locali non dovessero invertire il trend e rendere più efficiente la macchina burocratica necessaria all’affidamento dell’appalto, all’apertura del cantiere e alla realizzazione dei lavori, avrebbero dei tempi estremamente stretti per portare a conclusione le opere nel rispetto del termine ultimo di rendicontazione fissato per il 31 agosto 2026. Per aprire i cantieri e concludere i lavori dovranno dunque essere mobilitati tutti gli strumenti di accompagnamento previsti dal Pnrr che su questo fronte ha bisogno di essere rafforzato: utili ma troppo lunghi i tempi per nuove assunzioni; devono attivarsi subito le agenzie nazionali e occorre mobilitare (come proposto dalla Svimez più di un anno fa) centri di competenza territoriale utilizzando le professionalità presenti nelle Università del territorio. In ultima analisi dobbiamo prepararci all’eventualità di attivare i poteri sostitutivi dello Stato. Non possono ancora una volta i cittadini calabresi soffrire l’assenza di infrastrutture e servizi per le carenze delle pubbliche amministrazioni nazionali e locali».
Sul fronte degli investimenti, le vostre previsioni indicano quanto pesi il valore del settore delle costruzioni. Un comparto che in Calabria è trainante. Quali effetti potrebbero derivare da probabili misure di riduzione dei bonus edilizi sulla regione?
«Le costruzioni, in regione come in tutto il Sud, hanno beneficiato dell’avvio dei primi investimenti pubblici del Pnrr e dell’ecobonus; soprattutto il supporto pubblico, ai lavori di riqualificazione energetica degli edifici privati, ha garantito una certa capillarità territoriale della ripresa: in Calabria gli interventi, più di 6.000, hanno superato il miliardo di euro. Nelle costruzioni si è concentrata anche la ripresa occupazionale. Ma il tutto rischia di risolversi in un fuoco di paglia, in una ripresa di valore aggiunto e occupazione effimero proprio perché legato a misure una tantum destinate ad esaurirsi. E la bolla sta già sconfinando per l’aumento esponenziale dei costi dei materiali».
E poi c’è il tema dell’occupazione. In Calabria e nel Sud ancora troppo precario. Quali misure potrebbero essere adottate per stimolare la crescita di lavoro “vero”?
«Andrebbe definitivamente archiviata la stagione delle riforme del mercato del lavoro (spesso confuse con estensioni della flessibilità/precarietà) come unica soluzione al problema della disoccupazione. Il lavoro si crea innanzitutto intervenendo sulla struttura produttiva della regione, ampliandola e ammodernandola, favorendo la diffusione di attività ad elevato valore aggiunto e a maggior domanda di lavoro qualificato, intensificando i rapporti tra imprese e mondo della ricerca. Insieme occorre poi intervenire sulla “questione salariale”. I salari reali, già ridotti dopo la crisi del 2008, sono ulteriormente erosi dalla nuova ondata inflazionistica. Per fare questo serve un mix di interventi fiscali (riduzione del cuneo fiscale, proroga della decontribuzione Sud) e incrementi salariali per categorie specifiche a partire dagli insegnanti».
Tra pochi giorni l’Italia avrà un nuovo governo. Quali dovrebbero essere le priorità nell’agenda dell’esecutivo per ridurre il divario che esiste tra la Calabria, il Mezzogiorno in generale, ed il resto del Paese?
«Il nuovo governo avrà il compito difficilissimo di affrontare congiuntamente due questioni: la difficile gestione della congiuntura corrente creata dalla crisi energetica e dare continuità all’attuazione del Pnrr. Sul primo fronte, la prossima legge di Bilancio sarà la più complessa e delicata da decenni, per l’inflazione galoppante, per le emergenze di famiglie e imprese, e per i mercati finanziari pronti a giudicare le nostre mosse di bilancio. Per il Pnrr, quale che sia il “tagliando” che subirà, l’auspicio è che vada nella direzione di rafforzarne le finalità di coesione territoriale. Vanno in particolare sanate le due “grandi” divergenze tra Nord e Sud del Paese: quella nell’accesso ai diritti di cittadinanza (a partire da scuola, sanità e assistenza sociale), sempre più difficile per i cittadini meridionali, e quella tra strutture produttive sempre più distanti per consistenza numerica e qualità delle produzioni e di offerta di servizi. Infine, mi aspetto in campagna elettorale una posizione chiara dei partiti sul percorso di attuazione dell’autonomia differenziata. Il cittadino calabrese deve sapere se si vuole andare avanti con una riforma che spacca il Paese, e aumenta i divari di cittadinanza in base al territorio di residenza». (r.desanto@corrierecal.it)
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