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la riflessione

«Melissa. Un passato che non passa»

«Camminavano, in quell’ottobre 1949, i braccianti e i contadini nel latifondo del Marchesato, cercavano lavoro, pane, la concessione delle terre lasciate incolte dalla dai proprietari terrieri e chie…

Pubblicato il: 29/10/2022 – 16:51
di Vito Teti*
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«Melissa. Un passato che non passa»

«Camminavano, in quell’ottobre 1949, i braccianti e i contadini nel latifondo del Marchesato, cercavano lavoro, pane, la concessione delle terre lasciate incolte dalla dai proprietari terrieri e chiedevano il rispetto dei provvedimenti emanati nel dopoguerra dal ministro dell’Agricoltura il calabrese Fausto Gullo. A piedi, a cavallo, uomini, donne e bambini, con gli attrezzi da lavoro, con i simboli della religione dei padri, quasi compissero un pellegrinaggio di salvezza e di rinascita, cominciarono a sognare, a laborare, a segnare i confini della terra, usurpata nei secoli dai latifondisti, e cominciarono a dividerla, a preparare i lavori della semina. I padroni, il barone Berlingeri, proprietario del latifondo usurpato nel 1811, e i potenti non potevano assistere a queste scene di festa, di lavoro, di libertà. Intervennero i reparti della Celere della polizia agli ordini del Ministro dell’Interno Mario Scelba. Quel giorno, 29 ottobre, la polizia aprì il fuoco sui manifestanti ad altezza d’uomo, prima con pallottole di legno e poi con proiettili. Furono uccisi: Francesco Nigro, di 29 anni, Giovanni Zito, di 15 anni, e Angelina Mauro, di 23 anni (morirà più tardi per le ferite riportate). Melissa divenne simbolo di lotta, di riscatto, di resistenza. Intellettuali, artisti, fotografi, scrittori negli anni successivi si recavano in quel luogo di tragedia, che aveva alimentato speranza. A metà anni Settanta Francesco Faeta, Marina Malabotti, Salvatore Piermarini fecero una lunga e attenta esplorazione etnografica e fotografica nel Marchesato, nei luoghi dell’eccidio, con la gente che non dimenticava e sui muri che portavano al paese scrivevano “Melissa attende ancora”. Forse le mille Melissa del Sud “attendono ancora”. Ricordo questa storia, con quattro bellissime, indimenticabili, famose in tutto il mondo, di Salvatore Piermarini, scattate nel 1976, che fotografò case, piazze, strade, campagne, persone, familiari delle persone uccise perché sognavano e cercavano un mondo migliore. Da allora, Salvatore, che veniva da Ascoli e da Roma ((in realtà aveva iniziato ancora giovanissimo nella sua Arquata, nei luoghi del Gran Sasso, a Roma, a Parigi) diventò anche calabrese, da allora diventammo fratelli e non abbiamo mai smesso, nemmeno dopo la sua partenza, di esserlo. Negli anni Salvatore avrebbe fotografato il la Calabria, il Sud, il Mediterraneo, le periferie urbane (in Europa, in Canada, a New York), i paesaggi, i luoghi, il mondo del lavoro, degli ultimi, degli esclusi di tutte le parti del mondo». (Tratto da facebook)

*Antropologo e Scrittore

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