“Foss’anche un romanzo”, viaggio amaro nello sprofondo della sanità – VIDEO
Il libro di Letizia Cuzzola: la malattia della madre e la disumanizzazione del sistema delle cure. «L’hanno tratta come un pacco»

LAMEZIA TERME È un viaggio doloroso, tragico, a tratti assurdo, quello che Letizia Cuzzola ha raccontato nel suo libro “Foss’anche un romanzo” edito da Città del sole. Un percorso autobiografico in cui l’autrice fa i conti con la morte della madre, arrivata sedici anni dopo quella del padre, con le indecenze della sanità calabrese e con il suo mondo interiore ferito, per poi riprendere il cammino della propria esistenza con rinnovata forza e fiducia. Una di quelle storie che lasciano l’amaro in bocca perché obbliga a fare i conti con la roulette russa della vita, nella quale, come a volte accade, il destino beffardo punta dritto su alcune persone.
Letizia Cuzzola non solo deve affrontare la malattia della madre, il fatto di non poterle stare vicino, ma è costretta a subire la mancanza di umanità e senso del dovere dei medici: «In ospedale non può comunicare con me per le sue condizioni di salute, sono impotente e frastornata, lotto ogni istante con l’angoscia di perderla, mentre i medici, invece, iniziano a non dare notizie, a non rispettare gli orari in cui devono parlare con le famiglie. Ci lasciano ad attendere ore e quando escono il loro atteggiamento non mostra alcun rispetto verso la sofferenza di familiari provati quando non terrorizzati».
Un comportamento definito inaccettabile che l’autrice non riesce a perdonare: «Se pretendi di aggiustare le cose ma non vuoi avere a che fare con il cliente, il tuo mestiere è il meccanico, non il medico». L’autrice rievoca i momenti drammatici della morte: «Mi chiamano e mi dicono che ho due ore per venire a prendere mia madre. Penso che si sia rimessa ed invece è deceduta. La trattano come un pacco da ritirare». Nei giorni successivi inizia una vera e propria rivoluzione interiore: «Non ho più alcuna rete di protezione. Adesso gli errori sono solo i miei, come le cose belle. Sono io la guida dei miei giorni, soprattutto, diventano chiare molte cose». Come le occasioni perse: «Che la vita ci perdoni tutti i baci che non abbiamo dato e gli abbracci che abbiamo trasformato in parole per paura. Che la vita ci perdoni la voglia di ricominciare che abbiamo chiuso in un cassetto, ci perdoni quei ricordi che abbiamo usurato per non affrontare il futuro ed il coraggio che non abbiamo di dire a qualcuno il bene che gli vogliamo».
Le settimane che si succedono aprono e chiudono ferite con l’obbiettivo di «affrontare le vere sfide dell’anima»: «La solitudine che mi fa paura è quella in mezzo alla gente, è quella dello sguardo di chi amo, degli occhi che mi guardano senza vedere, dell’egoismo che fa tenere le braccia incrociate piuttosto che protese». Un cammino, insomma, alla ricerca di un nuovo posto nel mondo che «ha il sapore del futuro»: «Ho ripreso la mia strada, la mia casa è stata e rimane sempre aperta. Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco persone che non mi hanno fatto mai sentire sola. La sofferenza ed il dolore devono essere trasformati in opportunità. Lo devo a me ed anche a chi non c’è più».