COSENZA Casi di lupara bianca, omicidi compiuti ai danni di personaggi scomodi, i cui corpi vengono fatti sparire insieme ai segreti che custodiscono. La mala cosentina, quando non riesce a risolvere questioni spinose con la diplomazia, passa alle maniere forti. Il timore che qualcuno possa decidere di collaborare con la giustizia e vuotare il sacco, muove la mano dei killer pronti a far fuoco ed a troncare qualsiasi desiderio di abbandonare un sentiero lungo, tortuoso e minato da proiettili e sangue. In questo contesto maturano alcuni delitti di lupara bianca negli ambienti criminali cosentini. Alcuni pentiti hanno rivelato i retroscena di strategie criminali e fatti di sangue e in particolare Franco Bruzzese, con le sue dichiarazioni, ha diradato la nebbia che aleggiava su autori e mandanti di efferati crimini rimasti impuniti. È lo stesso Bruzzese a confessare i dettagli del delitto di Gianfranco Iannuzzi, alias A’Ntacca, svanito nel nulla perché aveva partecipato alla Strage di via Popilia. Si temeva potesse collaborare con la giustizia e venne attirato in un tranello ed ucciso nelle campagne di Cassano allo Ionio (ne abbiamo parlato qui). Stessa sorte, tocca a Sestino Bevilacqua, un lavoratore socialmente utile, rapito nell’area cosentina di Bosco De Nicola e poi ucciso e sepolto in luogo ignoto. Anche lui – pare – intenzionato a pentirsi.
In merito all’omicidio di Sestino Bevilacqua, Franco Bruzzese non accusa direttamente “i Banana” come mandanti dell’omicidio, ma rivela di aver visto alcuni suoi uomini (Luigi Berlingeri e Carlo e Daniele Lamanna) scaricare da un pick-up delle pale e dei picconi davanti alla porta di un magazzino proprio il giorno della sparizione della vittima. «…In merito all’omicidio ai danni di Bevilacqua Sestino, non ricordo con esattezza quando si è verificato. Ricordo però che poteva trattarsi del 2002, o comunque del periodo immediatamente successivo all’omicidio di Gianfranco Iannuzzi.
Mi trovavo nell’appartamento di mia madre in via Popilia, e mentre mi affacciavo dal balcone di questa abitazione che da su un cortile e su altri portoni di un palazzo contiguo, notai Luigi Berlingeri e Carlo e Daniele Lamanna che tiravano giù dal fuoristrada di Carlo Lamanna, delle pale e dei picconi e le lasciarono davanti alla porta del magazzino che era in uso a Fiore Abbruzzese, detto “Banana”. Dopo tre giorni da questo evento, leggendo il giornale, apprendevo della scomparsa di Sestino Bevilacqua Sestino e la ricollegavo a quanto avevo visto circa le pale e i picconi». E’ un altro collaboratore, Giuseppe Montemurro, a certificare la posizione apicale della famiglia “Banana” che «permetteva di decidere anche l’eliminazione fisica di personaggi scomodi per il clan, di persone ritenute infedeli o inaffidabili».
Fioravante Abbruzzese è dunque considerato dagli investigatori «un capo», come si evince dalle affermazioni del collaboratore di giustizia Bruzzese che ribadisce, in diverse sedi, che «gli affiliati non possono prendere decisioni in autonomia senza averne preventivamente discusso con lui». In un passaggio di un interrogatorio reso il 29 aprile 2019, il pentito spiega a Franco Bevilacqua, poiché Fioravante era detenuto, di non poter organizzare un nuovo gruppo di rapinatori ma doveva attendere la sua scarcerazione per parlargliene di persona. «…L’altro motivo era che Franco Bevilacqua, dopo che mi avevano arrestato per la rapina a Camigliatello, ad un furgone portavalori, si era messo a capo del nostro gruppo; fino a quel momento c’ero io a capo del gruppo che faceva le rapine ai furgoni blindati. Franco Bevilacqua, che da pochi mesi era uscito dal carcere, è venuto una volta a fare le rapine con me, lo avevo portato io, ma un giorno, prima della rapina al furgone, mi disse che voleva fare gruppo a sé stante per spacciare droga e fare estorsioni, ma io gli risposi che fino a quando non sarebbero usciti Fiore Abbruzzese detto “Banana” e mio fratello Giovanni Abbruzzese, non poteva farlo, che poi ne avremmo parlato con loro. Lui voleva fare addirittura le affiliazioni…» (redazione@corrierecal.it)
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