REGGIO CALABRIA Troppo piccole per competere con i grandi mercati. Caratterizzate dalla scarsa internazionalizzazione, dal basso grado di innovazione del prodotto e della produzione senza contare il limite dettato dalla ridotta capitalizzazione. Eppure le piccole imprese familiari rappresentano l’ossatura dell’economia locale. La spina dorsale del sistema imprenditoriale diffuso sul territorio. Per questo la difesa di questa sorta di “ragnatela” produttiva – costituita per la stragrande maggioranza da una miriade di aziende piccole e piccolissime – si traduce in una strategia di politica economica per garantire reddito ed occupazione nel Paese. Soprattutto in aree deboli dove queste realtà sono particolarmente diffuse, come in Calabria. Una strategia che si fondi su processi di accompagnamento, piuttosto che di assistenza passiva, allo sviluppo delle imprese a conduzione familiare. In particolar modo nelle fasi più critiche, come l’attuale situazione che sta caratterizzando il quadro economico italiano. Un momento che per la specificità di questa rete produttiva rischia di compromettere la sopravvivenza stessa di piccole aziende, prettamente a gestione familiare.
A minare queste realtà ci sono l’impennata dei costi di produzione legata all’incremento dei prezzi delle materie prime coniugata alla fiammata inflazionistica e al caro bolletta. A cui si somma anche l’innalzamento del costo del denaro, con la crescita dei tassi di interesse che fanno lievitare sensibilmente le difficoltà dei piccoli o micro imprenditori a far quadrare i conti delle loro realtà produttive. Non per nulla, la Svimez, per la Calabria ha pronosticato già da quest’anno una fase recessiva: -0,9%.
Una doccia fredda che arriva dopo la falsa partenza del 2021, l’anno della ripresa post emergenza Covid. A finire sulla graticola, stando alle analisi, soprattutto quelle realtà maggiormente esposte agli effetti scatenati dalla crisi energetica, dall’inflazione e dal conflitto in Ucraina come appunto le piccole e micro imprese a gestione familiare. Così come è costituito il tessuto produttivo calabrese.
Escluse alcune eccellenze, la gran parte delle imprese familiari calabresi è rappresentata da micro realtà che spesso si traducono in ditte individuali. E qui che c’è il cuore pulsante del sistema imprenditoriale calabrese.
Stando ai numeri elaborati dal sistema Movimprese per il Corriere della Calabria, su 188.193 aziende registrate a dicembre scorso ben 117.677 erano imprese individuali. Un numero che, in termini percentuali, significa oltre 62,5 punti del totale delle aziende presenti sul territorio calabrese. Un dato che da solo fa comprendere il peso specifico di questo mondo sul sistema produttivo regionale. Una specificità tutta calabrese visto che in media in Italia il peso dell’imprenditoria individuale è pari alla metà delle aziende (50,8%). Una tipologia che nonostante la flessione registrata negli ultimi dieci anni si è rivelata in Calabria più resiliente rispetto al resto del Paese. Se tra il 2012 e il 2022, infatti mediamente in Italia si è registrata una flessione di oltre 8 punti – un calo che nel Sud è stato pari al 5,8% – nella regione questa riduzione è stata (solo) del 3,6%.
Si tratta, stando sempre ai dati di Movimprese, di aziende che operano soprattutto nel settore del commercio, dell’agricoltura e dei servizi. Soltanto la prima categoria copre oltre un terzo del totale: circa il 35%. Segue il settore primario con quasi un quarto del numero complessivo di imprese individuali. Ed una voce rilevante la detiene anche il comparto delle costruzioni che, sotto la forma di ditta individuale, copre circa il 10% del totale.
Scandagliando i dati, emerge che il numero maggiore di imprese individuali risulta presente nel Cosentino (34%), segue il Reggino (30,8%), il Catanzarese (16,8%), il Crotonese (10,2%) e per ultimo la provincia di Vibo (8,1%).
Nel decennio preso in esame caratterizzato da un’emorragia di realtà produttive, risulta che la flessione maggiore si è avuta nel Catanzarese (-10,7%) e nel Cosentino (-6,4%). Mentre il quadro è rimasto praticamente immutato nel Vibonese. E addirittura la provincia di Reggio ha segnalato un dato in controtendenza, registrando una crescita di 3,3 punti percentuali.
Leggendo sempre i dati del sistema Unioncamere-InfoCamere, si può tracciare una sorta di identikit di chi gestisce queste realtà che rappresentano per numero il motore economico della Calabria. Ebbene oltre un quarto è rappresentato da imprese femminili (26,6%) in linea con il dato nazionale. Mentre sono intestate a giovani imprenditori il 13,1% delle imprese individuali, un dato più alto della media nazionale (12%) e del Sud (12,6%).
Altro aspetto che emerge che l’11% è in mano a stranieri. In particolare risultano registrate al 2022, 2.098 imprese individuali con titolare di nazionalità comunitaria e ben 10.905 di nazionalità extracomunitaria. In entrambi i casi ed in controtendenza con quanto sta avvenendo con le imprese individuali, i dati registrano anche una significativa crescita nel decennio. Segnando un +13,3% di imprese di matrice comunitaria e un +24,2% di extracomunitari. Numeri e dati, in quest’ultimo caso che assegnano al sistema produttivo costituito dalle imprese individuali anche un’altra valenza: un sistema di integrazione compiuto. Con una ricaduta positiva per tutta l’economia calabrese.
È la debolezza finanziaria oltre che tecnica ed il ridotto personale l’elemento che espone le piccole imprese familiari ai contraccolpi di qualsiasi fase critica dell’economia.Ne è convinto Domenico Nicolò, professore ordinario di Economia aziendale all’Università Mediterranea di Reggio Calabria che però sottolinea anche un’altra criticità: il passaggio generazionale. «Non sempre queste imprese sopravvivano al proprio fondatore», dice. E sulle iniziative per supportare queste tipologie di aziende invita a sostenere processi tesi a migliorare l’efficienza dell’amministrazione, a rafforzare la lotta al malaffare e alla criminalità piuttosto che alla programmazione di nuove risorse.
Professore l’inflazione e i venti di guerra con l’innalzamento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, sembrano aver colpito maggiormente le piccole imprese a gestione familiare. E la Calabria in particolare. Perché avviene questo fenomeno?
«Le piccole imprese, come le giovani imprese (startup), hanno poche risorse umane, tecniche e finanziarie rispetto alle medie e alle grandi aziende. Per questa ragione esse sono meno resistenti e, quindi, più vulnerabili nei periodi di difficoltà. Dopo la crisi derivante dalla pandemia covid 19, l’impennata del prezzo dell’energia e di molte materie prime causata dalla guerra Russia-Ucraina hanno indebolito ulteriormente realtà aziendali già piuttosto provate».
La crescita dei tassi d’interesse potrebbe costituire un nuovo problema per questo sistema di imprese in Calabria?
«La crescita dei tassi d’interesse, causata principalmente dall’inflazione, aggraveranno ulteriormente la situazione, non solo in Calabria. Anche se le imprese calabresi sono molto piccole e indebitate. Molte non riusciranno ad alzare i prezzi di vendita per trasferire ai clienti i maggiori costi dell’energia, delle materie prime, delle merci e del denaro e si troveranno in difficoltà».
Quali sono i principali punti di debolezza delle piccole aziende in Calabria a conduzione familiare?
«Tutte le aziende familiari, soprattutto se di piccole dimensioni, sono molto vulnerabili nelle fasi di successione. Quando non si programma il trasferimento della proprietà e della gestione, è assai probabile che queste imprese non sopravvivano al proprio fondatore. Circa un terzo delle imprese familiari chiudono i battenti dopo il ritiro o la morte del loro leader. Per assicurare continuità all’impresa di famiglia è necessario pensare per tempo alla successione, indirizzando i figli che intendono continuare l’impresa di famiglia a prepararsi al ruolo acquisendo la necessaria formazione in gestione aziendale, facendo esperienze di lavoro e pratica imprenditoriale, anche e soprattutto in altre aziende. Una buona idea è far loro avviare proprie startup, anche per costruirsi una reputazione imprenditoriale, indispensabile al momento dell’assunzione delle redini. La famiglia deve anche anticipare la divisione ereditaria del patrimonio aziendale e familiare tra i figli mediante i patti di famiglia, prevenendo così i conflitti di successione che sono una delle principali cause di cessazione delle imprese familiari dopo il ritiro o la morte del fondatore».
Ci sono vantaggi nella gestione di imprese a conduzione familiare. Quali?
«Tra i membri della famiglia che controllano l’impresa e quest’ultima, si crea un legame forte che spinge i familiari a fare sacrifici e ad impegnarsi molto nell’interesse dell’impresa e ciò costituisce una fonte di vantaggi per le aziende familiari».
La dimensione delle imprese familiari calabresi per lo più è rappresentata da micro realtà. Questo nanismo è legato al contesto locale o vi è anche una paura di crescere delle aziende familiari?
«Dipende da tutti e due i fattori. La chiusura al capitale di rischio e al management non familiare costituisce un limite alla crescita per tutte le imprese familiari. Non solo di quelle calabresi e neanche soltanto per quelle italiane».
Come sostenere al meglio questo sistema imprenditoriale a livello regionale?
«Le imprese, secondo me, non hanno bisogno di particolari sostegni da parte degli enti pubblici. A loro occorre una pubblica amministrazione efficiente e che continui con sempre maggiore forza l’azione di contrasto della criminalità organizzata e della corruzione da parte della magistratura». (r.desanto@corrierecal.it)
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