ROMA «Salvavamo centinaia di migliaia di vite umane e nonostante il grandissimo lavoro e lo sforzo immane, per tutti noi era un vanto, un orgoglio portare a terra ogni persona. E soprattutto ti arrivava il riconoscimento, la stima di un Paese intero, persino l’invidia. Ed è stato per tutta Italia un grande arricchimento poter dire: se hai salvato una vita, hai salvato il mondo». Lo ha detto in un’intervista a “Repubblica” l’ammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce del Comando generale delle Capitanerie di porto, ora in pensione, ricordando quel che era la Guardia costiera fino a qualche anno fa. «È cambiato che a un certo punto le nostre motovedette sono diventate i “taxi del mare”, i nostri uomini da eroi sono diventati la cinghia di trasmissione, le nostre navi, come la Diciotti e la Gregoretti, che avevano fatto niente più che il loro dovere salvando i migranti in pericolo, sono state lasciate fuori dai porti italiani». Con il Conte I, ministri Salvini e Di Maio, «è cambiato il clima politico, ma sono cambiate anche le regole d’ingaggio ed è cambiata l’immagine stessa del Corpo» e «improvvisamente, l’attività di salvataggio dei migranti è persino scomparsa dalle foto dei calendari del Corpo».
«I limiti dell’azione della Guardia costiera sono sempre stati quelli della zona Sar, ma centinaia di volte ci siamo spinti fuori e nessuno si sognava di bacchettarci”. Poi ”diciamo che qualche decreto interministeriale ha in qualche modo imbrigliato l’attività. Tutto si muove su un piano non normativo e la Guardia costiera, che prima si spingeva molto al di là delle acque territoriali, è stata in qualche modo ritirata. Il Viminale ha assunto un ruolo strategico nell’assegnazione del porto di sbarco. E se è vero che il soccorso in sé non rientra nelle prerogative del ministero dell’Interno, è anche vero che, se l’asse si sposta indietro, c’è il rischio che non si veda l’esigenza del soccorso e resti in primo piano un’esigenza di polizia».
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