VIBO VALENTIA “Consulenza e supporto relativi al contesto socio-politico nell’area e alle strutture locali”. La formulazione contenuta nel contratto di gestione del resort su cui ha messo gli occhi il clan Mancuso è vaga. Troppo per non far pensare che nasconda mazzette (ve ne abbiamo parlato qui). Lo stesso legale che se ne occupa commenta che «avrebbe potuto dare adito a strane considerazioni, spiegando che “all’epoca” era stata inserita per un motivo ben preciso… (“però c’era… però c’era quel discorso allora… noi l’avevamo messa”): motivo che, stando al dichiarato di Calafati, tutti (quindi anche i rappresentanti della Tui) erano in grado di intelleggere nelle reali finalità che si riproponeva». «Io e tia u sapimu pecchì e o sanno pure iji», dice Calafati, che secondo la Dda di Catanzaro fa da intermediario tra la cosca e gli investitori.
Questi discorsi, secondo i magistrati antimafia che li analizzano negli atti dell’inchiesta “Olimpo”, supporterebbero «l’ipotesi che la clausola risponda a un canovaccio già praticato nel corso di precedenti rapporti contrattuali: canovaccio studiato nei minimi dettagli al fine di dissimulare la reale finalità dell’esborso, che era quella di consentire al Calafati di trovare un accordo con “chi di competenza”, ” sopra e sotto!” (inteso verosimilmente come connubio tra le diverse articolazioni di ‘ ndrangheta interessate alla gestione delle forniture)».
Il presunto riferimento ai rapporti con i clan del Vibonese sarebbe emerso anche da un «espresso riferimento» dell’avvocato «alla pericolosità di un eventuale incontro; incontro che il legale non esitava a definire pericoloso e non proficuo in quella fase».
La ricerca di personale «che vantasse la “fedina penale pulita”», per gli inquirenti, sarebbe legata a una «garanzia di operatività» per gli imprenditori «a fronte del rischio di potenziale esposizione nei confronti» ella Prefettura. È sempre Calafati a introdurre, in un confronto con il direttore incaricato della gestione del villaggio turistico di Pizzo e («verosimilmente») con uno dei vertici della Tui, «il tema della “mafia calabrese” illustrando, poi, ai commensali le accortezze da utilizzare – nella fase di scelta del personale – onde evitare, appunto, il rischio dell’interdittiva antimafia». «Devono essere tutti puliti», dice.
Il 27 settembre 2018, però, Calafati avrebbe posto «in chiaro la questione delle tangenti da corrispondere alla malavita locale, evidenziando agli interlocutori l’opportunità di corrispondere una cifra congrua rispetto alle potenzialità della struttura, arginando, così, a monte, le ingerenze che sarebbero altrimenti sopravvenute sul fronte delle forniture». Il referente di “Destinazione Calabria” si sarebbe, inoltre, assegnato il ruolo di “delegato” ai rapporti con i clan, spiegando che «qualora “questi signori si avvicinano [buongiorno, e, eh], se ti dicono naturalmente [guardi direttore, possiamo parlare con lei di questo?] tu gli dici [no, dovete parlare con Enzo!] … [ Ma per … eh] …”, chiarendo che sarebbe stato poi suo compito quello di “informarsi” sulle referenze del soggetto presentatosi».
Il direttore di Tui Magic Life di Pizzo rievoca quella conversazione: «Ci trovavamo a casa dello stesso Calafati, in località Santa Domenica, vicino a Capo Vaticano, e in quella occasione il nostro incoming spiegò che per gestire tranquillamente il villaggio avrei dovuto pagare qualcosa alla criminalità organizzata. Quantificò l’importo da corrispondere in 10-15 mila euro al mese. Avrei dovuto versare i soldi direttamente al Calafati perché li veicolasse alla ‘ndrangheta».
I pm antimafia sottolineano come questi imprenditori provenienti da un contesto esterno alla Calabria passino dalle perplessità iniziali riguardo alle richieste di Calafati a «una sorta di progressiva assuefazione a un “metodo mafioso” non caratterizzato da espressioni di violenza apprezzabile in senso materiale». È il soft power della ‘ndrangheta. Nel marzo 2019 il direttore del resort parla di «una circostanza di assoluta gravità che mi dà da pensare sulla mia incolumità, in qualità di rappresentante della società Tui, e sul mia futura permanenza in territorio calabro». Dopo circa un anno la prospettiva cambia: «Avverto ancora oggi quel timore, ma in maniera meno pressante. La percezione che avevamo della “mafia” in Germania era molto più dura. E per questo si rendeva necessario il contributo di Calafati per orientarci in Calabria. C’è stato un momento in cui dubitavo delle persone che mi giravano intorno ed avevo davvero una sensazione di paura. Oggi sono diventato più padrone della situazione e non sento più la necessità di servirmi neppure del supporto di Calafati. Ho imparato a conoscere meglio anche Prostamo e Muggeri (due degli assunti “imposti” dal clan Mancuso secondo l’accusa, ndr) e – indipendentemente da chi siano – risultano per me due lavoratori come gli altri, sebbene mantengo alta l’attenzione per contenere i loro tentativi di espandere il controllo all’interno del villaggio». (2. Continua)
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