REGGIO CALABRIA Si sono ritirati in camera di consiglio i giudici della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, con presidente Bruno Muscolo (a latere Giuliana Campagna), che si dovranno esprimere sulla sentenza nell’ambito del processo “‘Ndrangheta stragista”, che ricostruisce i rapporti tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra nell’attuazione della strategia stragista negli anni ’90.
Alla sbarra, per l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, in un agguato avvenuto nel 1994, il boss palermitano Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro, entrambi già condannati in primo grado all’ergastolo. Al termine della requisitoria durata tre udienze il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha chiesto la condanna all’ergastolo, e dunque la conferma di quella in primo grado, per i due imputati ritenuti dalla Procura «colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio».
L’acquisizione di una intercettazione, contenuta nelle carte dell’inchiesta Hybris contro la cosca Piromalli ha fatto riaprire la discussione. «Un’intercettazione prova». Così il procuratore aggiunto Lombardo ha definito la conversazione tra Francesco Adornato, «navigato esponente della ‘ndrangheta», e Giuseppe Ferraro, indagato nel procedimento. Un incontro avvenuto il 17 gennaio 2021 e captato dagli investigatori durante il quale fanno dichiarazioni che richiamano i contenuti dell’inchiesta “‘Ndrangheta stragista”. Una richiesta di acquisizione che ha visto l’opposizione dei legali della difesa, gli avvocati Guido Contestabile, Salvatore Staiano (Filippone), Federico Vianelli e Giuseppe Aloisio (Graviano) che hanno chiesto l’assoluzione dei due imputati.
La Corte dovrebbe arrivare nel giro di qualche ora alla decisione finale, attesa non prima delle 18.
«Vi ho messo davanti la possibilità di andare ad indagare e cercare la verità, per trovarla indagate sulla morte di mio padre e sul mio arresto». Fa dichiarazioni spontanee in apertura dell’udienza Giuseppe Graviano. «Noi i signori Piromalli non li conosciamo, li abbiamo conosciuti in carcere», afferma il boss di Brancaccio davanti alla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria. «Si dice che abbiamo i migliori investigatori, ma la realtà non si sa mai perché non si vuole sapere, perché si ha paura. Andate a controllare a che ora è partita la mia chiamata dai carabinieri alla mia famiglia e a che ora è uscita la scritta del mio arresto e di quello di mio fratello su una televisione». «Non ho niente da smentire, – ha aggiunto – sono le dichiarazioni di Spatuzza che si smentiscono da sole. Lui continua ad accusarmi, continua a calunniarmi». Anche Filippone ha fatto dichiarazioni spontanee prima della sospensione per il ritiro della Corte: «Non ho mai incontrato i siciliani», ha detto. (redazione@corrierecal.it)
x
x