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I dubbi e i misteri sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. «A chi ha fatto davvero comodo la sua morte?»

Un delitto frutto di «un patto scellerato» tra ‘ndrangheta e Cosa nostra? In un podcast la ricostruzione di quello che accadde. «Non si è cercata la verità vera»

Pubblicato il: 29/03/2023 – 7:03
di Mariateresa Ripolo
I dubbi e i misteri sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. «A chi ha fatto davvero comodo la sua morte?»

REGGIO CALABRIA Un delitto frutto di «un patto scellerato» tra ‘ndrangheta e Cosa nostra?
Sono diversi e stretti i collegamenti tra le due organizzazioni criminali. Tanti gli interessi in comune, tante le strade che sembrano condurre sempre nella stessa direzione. Una commistione di intenti, miccia e innesco di un progetto stragista, fulcro di una delle inchieste che in riva allo Stretto si propone di riscrivere un pezzo di storia d’Italia. E la conferma arriva nuovamente alla luce della sentenza di secondo grado emessa a Reggio Calabria nell’ambito del processo “‘Ndrangheta stragista”. Al centro le indagini sulla “Cosa Unica” che ha agito per mettere in atto le stragi che hanno segnato per sempre la storia d’Italia. Ma l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti rientra anche in questa strategia? Da chi fu ucciso? E perché? Sono tanti, troppi, i dubbi che avvolgono l’assassinio del magistrato di Cassazione che il 9 agosto 1991 venne ucciso a poca distanza da casa, a Piale, frazione di Villa San Giovanni. Domande che a più di trentuno anni da quel giorno sono oggetto di analisi in un podcast – “L’omicidio Scopelliti – Storia di un magistrato (non) ucciso dalla mafia” – realizzato dal giornalista Massimo Brugnone per la Fondazione Antonino Scopelliti. Sei puntate fatte di racconti, testimonianze, dichiarazioni, ricostruzioni, che si concludono con un’unica e sola vera domanda.

L’omicidio studiato nei particolari, sulla strada verso casa

Due colpi di fucile mettono fine alla vita di Antonino Scopelliti. Il magistrato reggino viene colpito alla nuca e perde il controllo della sua Bmw andando a finire in una scarpata. Muore a soli 56 anni nel corso di un agguato fatto in piena estate, mentre stava rientrando a casa dal mare, da due uomini a bordo di una moto che velocemente si dileguano senza lasciare traccia. Nessun testimone. L’agguato era stato studiato nei minimi particolari: dagli spostamenti del giudice alla strada da percorrere per assicurarsi di colpirlo nel posto più isolato possibile. «Quando tornava a Campo Calabro, suo paese di origine, si sentiva al sicuro e così tranquillo da girare senza scorta». Le ipotesi che vengono fatte inizialmente sono le più svariate, dall’incidente stradale all’omicidio passionale, ma ben presto si capisce che l’uccisione di colui che rappresentava la pubblica accusa nel maxiprocesso contro la cupola di Cosa nostra poteva avere spiegazioni ben più complesse. Nel 2018 viene ritrovato in Sicilia un fucile che potrebbe essere quello utilizzato per uccidere Scopelliti, un fatto che infittisce ancora di più una trama già complessa. Le domande, anche alla luce delle dichiarazioni dei vari testimoni di giustizia, rimangono molte. Furono solo i siciliani a volere la morte del giudice? La mafia poteva uccidere Scopelliti in territorio calabrese senza l’assenso della ‘ndrangheta? Chi furono i mandanti e gli esecutori? La sua morte era un messaggio per qualcuno?

Il legame tra ‘ndrangheta e Cosa nostra

Tra le ipotesi che vengono fatte è che l’omicidio del giudice Scopelliti fu un favore che Cosa nostra chiese alla ‘ndrangheta. L’organizzazione criminale calabrese a sua volta chiese un intervento ai siciliani per far cessare la seconda guerra di ‘ndrangheta che dal 1985 insanguinava le strade di Reggio Calabria. «Un patto di sangue» dopo il quale la ‘ndrangheta «ritrova la pace dopo sei anni di guerra», un conflitto interno che aveva trasformato la città «in una piccola Beirut». Certo è che dei legami tra le due organizzazioni criminali c’è molto più di una semplice traccia. È nell’inchiesta che ha portato al processo “‘Ndrangheta stragista” che il racconto di questo sodalizio criminale prende contorni molto definiti. L’organizzazione criminale calabrese, secondo la Procura reggina, «agì, attraverso le sue componenti apicali, d’intesa con quella siciliana» segnando per sempre la storia d’Italia con la strategia stragista.
La ‘ndrangheta e Cosa nostra come un unico corpo, «una cosa sola», i cui esponenti di spicco era legati da un doppio filo, quella che viene definita «doppia affiliazione».

L’aula della Corte d’appello di Reggio Calabria nel processo “‘Ndrangheta stragista”

«La mafia fece un brutto affare con l’omicidio Scopelliti»

Ma quale poteva essere lo scopo di Cosa nostra? Come detto, Scopelliti rappresentava la pubblica accusa, nell’ultimo gradi di giudizio, al maxiprocesso istituito dal pool antimafia di cui facevano parte anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tra le ipotesi c’è quella che attraverso l’uccisione del pubblico ministero si potessero far scadere i termini di custodia cautelare degli imputati, oppure ritardare la condanna. Tutte circostanze che non avvennero. Antonino Scopelliti fu anche destinatario di tentativi di corruzione, qualcuno gli offrì 5 milioni di lire, ma lui rifiutò. «Il suo omicidio ha un carattere preventivo e un carattere anche intimidatorio. Forse anche dilatorio». Così l’ex presidente del Senato ed ex Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, intervistato da Brugnone. «In realtà – spiega Grasso all’interno del podcast – tutto questo non servì a nulla. La mafia fece un brutto affare anche con l’omicidio Scopelliti». I siciliani in Cassazione furono condannati lo stesso. «Fu quindi un omicidio inutile?», ci si chiede.

L’omicidio Scopelliti, «l’inizio della strategia stragista»

Il 17 maggio 2019 il collaboratore di giustizia Maurizio Avola, mafioso siciliano appartenente alla famiglia di Nitto Santapaola, interrogato dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nell’ambito del processo “‘Ndrangheta stragista” dichiara di aver preso parte all’omicidio di Scopelliti, un fatto che inquadra come l’inizio della stagione delle stragi. «Cosa non da poco – spiega Brugnone – perché da quel che sappiamo l’inizio di quella che è stata soprannominata stagione delle stragi è sempre stato raccontato essere l’omicidio di Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo 1992 a Palermo». «L’omicidio Scopelliti è un omicidio mirato a dare un segnale a Falcone, e dirgli: fermati», spiega il giornalista Guido Ruotolo che con Michele Santoro ha scritto il libro “Nient’altro che la verità“. Avola si autoaccusa dell’omicidio, entra nei particolari di come avvenne il delitto, ma sostiene che non ci fu alcun appoggio dai calabresi. «Se si riprendono in mano gli atti dei processi che tentarono di indagare mandanti ed esecutori di quell’assassinio, però, – spiega Brugnone – collaboratori della ‘ndrangheta affermano che l’esecuzione è stata calabrese». Ma allora qual è la verità?

«Non si è cercata la verità vera»

Qualche giorno dopo l’agguato, l’omicidio venne rivendicato dalla sigla “Falange armata”, «ma perché nessuno ha indagato verso quella direzione?» È uno dei tanti perché con in quali si conclude il podcast. «Più passa il tempo – spiega Brugnone – e più, banalmente, le persone che possono sapere perché Scopelliti venne ucciso e da chi, diventano vecchie e muoiono». Tanti i dubbi che attanagliano anche la figlia del giudice, Rosanna Scopelliti, presidente della Fondazione, che parla di «una ricostruzione che lascia troppi perché».

Rosanna Scopelliti

«È stato comodo inserirlo e classificarlo come un delitto che sancisce la pace tra le ndrine del reggino o come patto scellerato tra ‘ndrangheta e Cosa nostra, ma non si è voluto guardare oltre. Questa strada di fatto – aggiunge Rosanna Scopelliti – non viene suffragata, forse è arrivato il tempo di rivederla completamente: ricontestualizzare il tempo, le amicizie di mio padre, le persone che potevano avvicinarsi a lui. E sul perché che io ho i dubbi». «La mia preoccupazione – spiega ancora nel podcast la figlia del magistrato – è che si sia talmente tanto preconfezionato questo delitto dal punto di vista mediatico, dal punto di vista degli inquirenti, per cui magari si è trovata una verità comoda, rapida, ma non si è cercata la verità vera». Una verità che probabilmente non uscirà neanche dalla bocca di Matteo Messina Denaro, il boss stragista di Cosa nostra arrestato lo scorso gennaio a Palermo, e indagato anche dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria per l’omicidio del giudice reggino.
La verità sull’uccisione di un uomo, spiega Brugnone, che «faceva paura a tante persone, non solo alle organizzazioni mafiose». E alla fine la domanda è solo una: «A chi è che faceva davvero comodo eliminare Scopelliti?» (redazione@corrierecal.it)

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