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La vicenda

Murgia: «Ho il cancro, spero di morire senza Meloni premier». E lei: «Ci vorrà ancora»

La scrittrice al Corriere della Sera rivela la malattia. Le risponde la presidente del Consiglio su Facebook

Pubblicato il: 06/05/2023 – 20:37
Murgia: «Ho il cancro, spero di morire senza Meloni premier». E lei: «Ci vorrà ancora»

ROMA Michela Murgia ha un tumore. Ed è al quarto stadio. Le rimangono pochi (o forse molti) mesi davanti, ancora. Non è operabile, perché ha già metastasi alle ossa, ai polmoni e al cervello. Ma sa che morirà e da tempo sta preparando la sua partenza. Per questo ha intenzione di sposarsi. Tre ciotole, (Mondadori) suo ultimo libro esce il 16 maggio. Il primo racconto si apre con la diagnosi di un male incurabile. Ed è una vicenda autobiografica ha raccontato Murgia in un’intervista al Corriere della Sera. Perché la scrittrice, drammaturga, blogger, opinionista, autrice tra gli altri del romanzo bestseller pluripremiato Accabadora, ha un tumore al quarto stadio, uno stadio da cui «non si torna indietro».
Sta per morire, sottolinea. Le restano pochi mesi. E ha deciso di raccontarlo. Spiegando che «le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello».
«Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista», dichiara la scrittrice che si definisce di sinistra. Non ha paura della morte, «spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio», «perché il suo è un governo fascista», accusa.
Proprio su questo aspetto ha risposto la premier Giorgia Meloni: «Apprendo da una sua lunga intervista che la scrittrice Michela Murgia è affetta da un bruttissimo male. Non l’ho mai conosciuta e non ho mai condiviso le sue idee, ma voglio mandarle un abbraccio e dirle che tifiamo per lei. E io spero davvero che lei riesca a vedere il giorno in cui non sarò più Presidente del Consiglio, come auspica, perché io punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo». Murgia non si sente sola, sconfitta: «Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Volevo anche andare in Corea Forse ci andrò quando disperderanno le mie ceneri nell’oceano, a Busan». «Ho dieci persone. La mia queer family». «Ho comprato casa con dieci posti letto dove stare tutti insieme – racconta – Ho fatto tutto quello che volevo. E ora mi sposo».
Sposerà «un uomo, ma poteva essere una donna». «Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me», precisa. Pensando al momento della fine, Michela Murgia dice: «Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa. Chi mi vuole bene sa cosa deve fare. Sono sempre stata vicina ai radicali, a Marco Cappato”. Di fatto, esprimendosi a favore dell’eutanasia, che era il tema anche del suo romanzo Accabadora. La scrittrice afferma di avere «quattro figli», «sono figli d’anima. Il più grande ha 35 anni, il più piccolo venti».
«È insensato dire che di madre ce n’è una sola, la maternità ha tante forme”. Il suo male è annunciato all’inizio del suo ultimo libro, le tre ciotole sono quelle in cui lei mangia, rigorosamente da sola, un pugno di riso, qualche pezzetto di pesce o di pollo e qualche verdura. «Mi hanno tolto cinque litri d’acqua dal polmone. Stavolta il cancro era partito dal rene. Ma a causa del Covid avevo trascurato i controlli”, dice. La scrittrice si sta curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci. «Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo”.
«Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono», afferma Murgia sostenendo di non voler utilizzare un “registro bellico». «Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere – afferma – Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto o l’alieno». In stato di grazia, Murgia in “Tre Ciotole” una serie di racconti originali scrive una sagoma di cartone o di un pretoriano in miniatura, odiano i bambini pur portandoseli in grembo, lasciano una donna ma ne restano imprigionati, vomitano amore e rabbia, si tagliano, tradiscono, si ammalano. Sono alcuni dei personaggi del nuovo, libro, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva.
«Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita». A volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d’orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo. Attraversare quella linea di crisi mostra che spesso la migliore risposta a un disastro che non controlli è un disastro che controlli, perché sei stato tu a generarlo. Michela Murgia è nata a Cabras (Oristano) nel 1972. Ha esordito come scrittrice nel 2006 con Il mondo deve sapere. Tra le sue opere, tradotte in più di trenta paesi, ricordiamo Accabadora (Premio Campiello 2010), Ave Mary (2011), Chirù (2015), Istruzioni per diventare fascisti (2018), Stai zitta (2021) e God Save the Queer. Catechismo femminista (2022).

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