REGGIO CALABRIA Stanchi, impauriti, affamati, assetati e disorientati in mezzo alle montagne, al confine tra Italia e Francia. Il viaggio di molti migranti non finisce quando – dopo le pericolose traversate sui barconi nel Mediterraneo – raggiungono sfiniti le coste calabresi. Per molti è solo la prima di una serie di tentativi per raggiungere le mete desiderate per potersi ricostruire una vita dignitosa. Ed è così, dalla disperazione di famiglie intere che scappano da fame e guerra, che una rete di trafficanti di esseri umani ha guadagnato lucrando sulla disperazione. Lo mettono nero su bianco gli investigatori nelle carte dell’inchiesta “Parepidemos” nata nel 2020 e avviata sotto il coordinamento della Dda di Reggio Calabria, che ha portato all’arresto in Francia e Germania di quattro uomini, tutti di origine afgana ritenuti a vario titolo responsabili di favoreggiamento pluriaggravato dell’immigrazione clandestina e di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria. Le indagini, nate da una segnalazione a Bova Marina, nel reggino, sono proseguite con l’ausilio dei canali Eurojust ed Europol consentendo di smantellare una filiera criminale di immigrazione clandestina localizzata in Turchia, Italia, Francia e Germania. Nelle vicende ricostruite dagli investigatori, proprio le circostanze con cui i migranti hanno raggiunto la destinazione agognata, ha portato la Procura reggina a contestare le aggravanti, confermate nel provvedimento del gip, di avere esposto le persone trasportate a pericolo per la loro vita. «Si tratta – scrive il gip – di pregiudicati delinquenti, criminali che per danaro mettono a rischio vite umane, incuranti anche della presenza di minori e talora di neonati».
Collaudato il sistema di pagamento che avveniva attraverso “hawala”, parola araba che significa “scambiare” o “trasformare. Indica – scrivono gli investigatori – un sistema di rimessa informale alternativo, fortemente radicato nella cultura islamica basato sulla fiducia, sull’onore dei soggetti incaricati al trasferimento del denaro, che consente di muovere denaro in modo veloce ed economico senza il coinvolgimento dei canonici istituti finanziari. Nato come sistema legale per trasferire fondi, eliminando totalmente il rischio legato al trasporto internazionale delle valute per le sue caratteristiche di riservatezza, velocità ed economicità, ha assunto, al giorno d’oggi, sempre più spesso i contorni del riciclaggio di denaro, andando a finanziare tutta una serie di attività illecite tra cui, in primis, il terrorismo internazionale. L’elemento maggiormente rilevante è il carattere informale dell’hawala: difatti, l’assenza di un contratto, ossia di un accordo scritto e regolamentato tra le parti. La somma richiesta era di circa 1.500 euro. «Esiste un vero tariffario», scrivono gli inquirenti.
«Pronto, senti Fratello, loro sono arrivati ad una quota. Hanno chiesto ad un tizio dove si trovano, il tizio gli ha detto che stanno ancora in Italia, non c’è la strada nella vicinanza e per scendere dall’altezza ci mettono 5 ore. Non hanno né cibo né acqua. Dicono venite a prenderci …[…) Fratello, tu sei in macchina e quanto sei stanco. Immagina loro dalle 6:00 di mattina che camminano. Non hanno nemmeno acqua, sono affamati». È una telefonata che restituisce la drammaticità della situazione in cui si è trovato un gruppo di migranti formato anche da bambini. A condurli da Bova Marina a una in una zona di montagna, al confine tra Italia e Francia, è Mohammad Younos Yawar, figura centrale e uno dei quattro arrestati, a bordo del suo furgone Mercedes Sprinter con un vano creato ad hoc nella parte posteriore del mezzo per nascondere le persone. Le indagini, avviate sotto il coordinamento della Dda reggina, hanno consentito di registrare i movimenti dell’afgano che, dopo avere fatto salire a bordo 10 connazionali, ha percorso l’intero territorio nazionale, facendo tappa in Abruzzo, in Lombardia e in Liguria, uscendo successivamente dal territorio nazionale dal valico del Frejus.
Esposti al freddo e alle intemperie, su sentieri scoscesi ed impervi, i migranti hanno trascorso ore di paura prima di essere nuovamente recuperati. «Senti fratello, ancora non mi avete dato i soldi, e ho speso un sacco di soldi… senti fratello manda i soldi a mio cugino e poi vediamo…». Risponde l’afgano, che continua a chiedere che gli vengano corrisposti 1.300 euro, alla telefonata ricevuta in cui un connazionale lo pregava di tornare a prendere il gruppo in difficoltà. Poco dopo una donna al telefono gli dice: «Fratello, ma la vita delle persone è più importate di soldi?[…] Ma loro non sanno la strada, gli hai indicato tu la strada, non è colpa loro e i bambini hanno fame». Argomento che – scrivono gli investigatori – sembra non modificare l’intento dell’uomo che «sottolinea nuovamente la sua necessità di ricevere i soldi per il tramite di cugino e, solo una volta effettuato il pagamento, si sarebbe messo a disposizione per recuperarli»: «Senti fratello manda i soldi a mio cugino e poi vediamo. Ora mangio qualcosa, appena arrivo a Nizza ne parliamo». (redazione@corrierecal.it)
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