COSENZA E’ detenuto per via una di una condanna all’ergastolo, ma nonostante tutto viene riconosciuto come storico capo di uno dei clan cosentini più potenti: simbolo del potere criminale esercitato sul territorio. Il nome di Gianfranco Ruà, condannato nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’inchiesta denominata “Garden“, compare nei verbali resi dal neo collaboratore di giustizia di Cosenza, Roberto Porcaro per il quale «è considerato tuttora vertice dell’associazione e inalterata è rimasta la sua considerazione criminale». Tuttavia, precisa il pentito, «il nome Ruà non può formalmente figurare nelle copiate di ‘ndrangheta poiché lo stesso aveva manifestato la cosiddetta dissociazione (ad esclusivo fine di ottenere benefici penitenziari) e ciò costituiva una sorta di disonore nella logica tradizionale di ‘ndrangheta». Uno sgarro che non avrebbe privato l’ergastolo del privilegio dello “stipendio”. «A lui veniva corrisposto regolarmente».
Porcaro fornisce ai magistrati maggiori informazioni e dettagli sulla figura criminale di Ruà. «Nel maggio del 2013, ho conferito personalmente la prima e la seconda dote ad Antonio Illuminato consegnandogli una copiata dove riportavo sempre Gianfranco Ruà come capo società e contabile Ettore Lanzino. Questa copiata è stata rinvenuta e sequestrata dagli inquirenti all’incirca un mese dopo in occasione di una perquisizione delle forze dell’ordine che rinvenivano anche delle armi ad Illuminato». Da quel momento è stato palese agli investigatori il ruolo di Gianfranco Ruà come capo società. «Ruà, che era già detenuto e aveva intenzione di avviare un percorso di revisione critica per ottenere benefici penitenziari, aveva mandato, tramite sua moglie, una imbasciata a Francesco Patitucci» quando stava lasciando il carcere di Sassari nell’anno 2015. Nel messaggio chiedeva la necessità di «non comparire più formalmente nelle copiate e sostituire il suo nome con quello di Gianfranco Bruni come capo società». La richiesta avanzata da Ruà, sarebbe stata accettata da Patitucci ma da quel momento non sarà «ben visto all’interno dell’organizzazione criminale in ragione della dissociazione che lo stesso aveva già formalizzato nell’ambito del procedimento “Garden” per sottrarsi all’ergastolo».
Tutti soddisfatti dell’accordo. Da una parte, è stata accolta la richiesta avanzata da Gianfranco Ruà e dall’altra Patitucci e soci hanno mostrato i muscoli, con una mossa astuta e utile anche a «preservare la possibilità di aprire il “locale” a Cosenza, dimostrando ai reggini che noi cosentini prendevamo le distanze dalla dissociazione effettuata da Ruà», racconta Porcaro. Che poi precisa: «si trattava, di una presa di distanze soltanto formale e simbolica, in quanto l’associazione criminale cosentina ha sempre considerato Ruà come capo e riferimento dell’associazione e lo ha sostenuto economicamente durante tutta la sua detenzione». In tal senso, il pentito avrebbe svolto un ruolo di primo piano. «Personalmente mi sono occupato di raccogliere lo stipendio in suo favore, da ultimo fino al mese di novembre del 2019 (immediatamente prima del mio arresto), corrispondente a 1.800euro che consegnavo a Rosanna Garofalo che a sua volta lo consegnava alla moglie di Gianfranco Ruà». (f.b.)
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