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la sentenza

Incidente mortale a Mendicino, patteggia tre anni di pena con lavori di pubblica utilità

Il tribunale di Cosenza ha condannato un 39enne per il sinistro. L’avvocato Calabrese ha presentato una corposa memoria

Pubblicato il: 17/07/2023 – 18:55
Incidente mortale a Mendicino, patteggia tre anni di pena con lavori di pubblica utilità

MENDICINO Sono le 00.50 circa del 30 giugno 2022 quando F.F. (39 anni) viaggia a bordo di una Fiat 500 L lungo via Virgilio con direzione di marcia Cosenza – Mendicino. La vettura si scontra con una Daewoo Matiz guidata da Simona Colonnese e con a bordo la figlia di 18 anni. La donna di 47 anni muore a causa del sinistro.
La Fiat 500 L – secondo i rilievi conclusi all’epoca dei fatti – avrebbe occupato «il margine destro della carreggiata (…) non riuscendo a compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza per evitare la collisione con l’autovettura Daewoo Matiz». Manovre di guida condotte con «imprudenza, imperizia, negligenza» da parte di F.F. Che – sempre secondo quanto appurato subito dopo il tragico impatto – avrebbe viaggiato «in stato di ebbrezza alcolica» con un tasso superiore al limite consentito di 1,5 e «nello specifico, pari a 2,09 g/l».

La difesa e la sentenza

Lo scorso mese di giugno, il tribunale di Cosenza ha applicato nei confronti di F.F., riconoscendo le attenuanti generiche, la pena di tre anni di reclusione. Una pena poi sostituita con il lavoro di pubblica utilità per la durata di tre anni per un totale di 2.160 ore lavorative complessive, da svolgere in un’associazione di volontariato di Cosenza. Le indagini difensive condotte dal legale di F.F., l’avvocato Gianpiero Calabrese, hanno permesso di dimostrare come il tasso alcolemico contestato all’imputato fosse alterato ma diverso rispetto a quello emerso durante il controllo, poiché F.F. soffrirebbe di una patologia che non consentirebbe una precisa misurazione del medesimo. Inoltre, la difesa dell’imputato avrebbe riportato una versione dei fatti inerente il sinistro differente a quella prospettata nel corso della ricostruzione, immediatamente successiva al tragico impatto. Suggerendo un differente grado di colpevolezza del 39enne, ad esempio segnalando la presenza di una «anomalia inerente al mancato blocco del sedile» della vittima. «Al momento dell’impatto il sedile si è sganciato, dalla guida ed è stato proiettato in avanti e nonostante che la conducente avesse la cintura di sicurezza allacciata, non si verificava il blocco, consentendo la spinta della conducente e, quindi, l’impatto del capo contro lo sterzo, causandone il successivo decesso della stessa conducente». Secondo la difesa, inoltre, il comportamento alla guida della donna alla guida della Matiz è «da considerarsi concausa del verificarsi del sinistro, la violazione delle norme di comportamento dettate dal nuovo codice della strada». (f.b.)

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