Leggendo la storia di Luigi Gullo si smentisce la tesi che essere figli d’arte non corrisponda a mantenere alto il decoro politico e intellettuale. Se pure politicamente il padre Fausto (Ministro della giustizia e dell’agricoltura nel periodo di transizione dalla caduta del fascismo alle elezioni del 48) resta inarrivabile politicamente, il “professore” è stato uno straordinario protagonista della vita intellettuale e politica calabrese. Parlamentare per una legislatura, soprattutto elevato giurista, capace di fare giurisprudenza e di esercitare con animo nobile la sua vocazione.
Di lui si ricordano memorabili duelli in tribunale con il grande De Marsico, la pervicacia con la quale inseguiva l’utopia del socialismo, un garantismo innato che era celebrato con uno spirito aulico.
Eppure Luigi Gullo è stato soprattutto, almeno apparentemente, l’artefice della rottura tra Giacomo Mancini e Bettino Craxi. Accadde quando Mancini voleva che il Psi eleggesse l’avvocato cosentino al Csm, operazione poi non riuscita.
Fu l’inizio della separazione tra gli artefici del Midas.
Gullo sarebbe stato uno straordinario componente laico di Palazzo dei Marescialli. Rimase a fare il penalista, maestro di intere generazioni, con uno sguardo eretico perenne.
Insieme al padre, anch’egli grande avvocato, è nel pantheon del pensiero meridionale raffinato. Indimenticabile esempio di coerenza.
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