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Il «prete malandrino»: 40 anni sul confine per don Giuseppe Strangio, «paciere tra i clan di ‘Ndrangheta»

Dalla banconota da 100mila lire provento di un sequestro di persona trovata in possesso del prete nel 1984 alla festa di Polsi per la pax mafiosa. Anche calcio e politica nella biografia del sacerd…

Pubblicato il: 07/08/2023 – 6:54
di Pablo Petrasso
Il «prete malandrino»: 40 anni sul confine per don Giuseppe Strangio, «paciere tra i clan di ‘Ndrangheta»

REGGIO CALABRIA Secondo i collaboratori di giustizia «il “prete malandrino” non disdegnava di avere rapporti con Giovanni Copelli, cognato del boss Giuseppe Piromalli» e «aveva il ruolo di fungere da pacificatore tra le consorterie criminali, adoperandosi per comporre i contrasti». Religioso, politico, vicino ad ambienti massonici deviati, quella di don Giuseppe Strangio è una storia complessa. Il processo Gotha ha sciolto – nel giudizio di primo grado – il dubbio sulla cattiva fama del prete di San Luca: uno stigma legato alle origini sanlucote o un percorso spinto al di là del confine tra l’esercizio della Fede e i rapporti di vicinato con i casati mafiosi? Per il Tribunale di Reggio Calabria è «ampiamente integrata l’ipotesi delittuosa ascritta all’imputato». Che sarebbe «pienamente inserito negli intrecci esistenti tra le famiglie criminali del territorio di San Luca» e «nelle dinamiche di contrapposizione dei due gruppi Nirta-Strangio e Pelle-Vottari». Il parroco di quel santuario per anni sporcato dal legame con la ‘Ndrangheta avrebbe avuto un «ruolo strategico (…) di paciere nei contrasti tra le consorterie criminali». Un prete di frontiera nel senso cattivo del termine, dove la frontiera sconfina spesso in rapporti con le famiglie mafiose. Storia che affonda radici in un’epoca lontana, quella in cui le cosche della Locride facevano il salto: da coppola e lupara a investimenti milionari.    

La banconota del riscatto trovata in possesso di Strangio

Sono trascorsi quasi 40 anni ma i giudici del processo Gotha sottolineano i due avvenimenti per delineare la figura di don Pino Strangio, ex parroco di San Luca e del santuario di Polsi, condannato a nove anni e quattro mesi dal Tribunale di Reggio Calabria. Tra i precedenti di polizia a carico del religioso viene citato «l’esito di una perquisizione effettuata a Montecatini il 6 agosto del 1984, avente a oggetto una banconota da 100mila lire di cui Strangio era in possesso, risultata provento di un riscatto per la liberazione di un sequestrato, Labate». Non ci sono riferimenti più precisi nell’atto, ma dovrebbe trattarsi di Giovanni Labate, farmacista rilasciato dopo 325 giorni a seguito del pagamento di un miliardo e 200 milioni di lire. Non finisce qui: subito dopo la scoperta, i carabinieri della Stazione di San Luca eseguono una perquisizione nell’abitazione del padre di don Pino Strangio e trovano «un’altra banconota da 100mila lire lo stesso giorno, proveniente dal riscatto pagato per la liberazione (nel febbraio 1984, ndr) di Carlo De Feo di Napoli», ingegnere partenopeo per la cui liberazione vennero versati ai clan 4 miliardi di lire.

Quando la sua squadra di calcio portò il lutto in memoria del boss Gambazza

Il capitolo in cui si affronta l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per don Strangio si apre con la costruzione del suo profilo e dei legami, per molti versi oscuri, del prete con le famiglie criminali della Locride. Non è soltanto questione di parentele, ma ci sono anche quelle. Strangio appartiene al nucleo familiare noto con l’alias Fracascia, «che non ha, a differenza di altri ceppi familiari, un riconoscimento nell’ambito di articolazioni di locali della ‘ndrangheta». I giudici riversano nella sentenza i contenuti di un’informativa dei carabinieri di Locri e San Luca redatta nel 2014. A quei tempi, il sacerdote era – tra le altre cose – vice presidente della Fondazione Corrado Alvaro, istituita nel 1997, fondazione che nel cda ospitava un fratello di Francesco Strangio, all’epoca «detenuto e ritenuto appartenente alla cosca degli Strangio alias Iancu e meglio noto come “Ciccio Boutique”». Prete eclettico, don Pino era stato anche presidente di una squadra di calcio dilettantistica, la San Luca Nuova Folgore, passata alle cronache per un fatto accaduto l’8 novembre 2009. Quel giorno, in occasione di una partita contro il Bianco, alcuni giocatori della Nuova Folgore scesero in campo con il lutto al braccio perché, pochi giorni prima, il 4 novembre, era morto l’anziano Antonio Pelle della famiglia Pelle-Gambazza, capo storico della ‘ndrangheta di San Luca. La reazione della Lega fu una squalifica di due mesi per i calciatori protagonisti del gesto e per il presidente della squadra, don Strangio. In poche righe di biografia ci sono i tratti di alcuni fenomeni storici: la circolazione dei proventi dei sequestri nei centri dell’Aspromonte, l’antica “tolleranza” della Chiesa per i fatti di ’ndrangheta e il legame tra i clan e le squadre di calcio dilettantistiche. 

L’abbraccio con Rocco Gioffrè al santuario per la pax mafiosa

Il santuario di Polsi

L’Accademia Bonifaciana è un altro degli enti nei quali gli investigatori rintracciano don Pino Strangio. In quella onlus compariva anche uomo destinatario di ordinanza di custodia cautelare nel procedimento “Italia che lavora”. L’esponente della famiglia “Scalzone”, un giornalista di Bovalino e un imprenditore di Gerace sono i tre nomi che il religioso sceglie per il titolo di “cavalieri del Santuario di Polsi” nell’agosto 2013. Una onorificenza attribuita in qualità di rettore del santuario, «senza che tuttavia sia stata mai riconosciuta né dalla Curia, né da altri ordinamenti nazionali e/o sovranazionali». Altra storia riportata in sentenza che si sviluppa intorno al santuario è quella dell’arresto, nel 2007, di un giovane «ritenuto vicino alla cosca Nirta alias Versu: collaborava con la struttura religiosa come autista e factotum ma a bordo della Panda in uso al santuario portava una pistola calibro 7,65 con matricola abrasa, due caricatori e munizionamento. C’è anche un avviso di garanzia per omissione di soccorso nel passato di don Strangio. Ma tra i passaggi più imbarazzanti c’è quello contenuto nella sentenza del processo “Topa”, nella quale si narra «il singolare evento accaduto all’interno della chiesa di Polsi, ove, a suggello della pace che poneva fine alla faida tra le famiglie Nirta-Strangio e Pelle-Vottari, è stato accertato che il prelato don Pino Strangio accoglieva Rocco Antonio Gioffrè, elemento di vertice della storica omonima consorteria (di Seminara, ndr), tributandogli gli onori che competono all’uomo giusto, definendolo un uomo di pace, ringraziandolo pubblicamente».

La politica. «Don Pino si voli, ti poti fare»

I giudici di “Gotha” riprendono quel passaggio e considerano verosimile la presenza del religioso in una festa organizzata per suggellare una pace “storica” per la ‘Ndrangheta. Il viaggio nel passato di don Strangio prosegue con un’inchiesta nella quale il sacerdote è soltanto citato in una conversazione tra Rosy Canale, ex simbolo dell’antimafia aspromontana, che progetta la propria candidatura alle Regionali, e suo padre. Dal genitore arriva – la sintesi è ancora dei giudici – «il suggerimento di rivolgersi a don Pino Strangio e a un capo bastone». E la sottolineatura «che in cambio di 5mila euro il prelato avrebbe potuto procacciargli 500-600 voti anche a Reggio Calabria, oltre che a San Luca». «Don Pino si voli, ti poti fare», è la frase. Cioè «viene ritenuto una persona a cui potere proporre lo scambio illecito, capace di condizionare il voto sia a Reggio Calabria che a San Luca, al pari di un capo bastone a cui pure la richiesta andava comunque rivolta». Segno, per i giudici, che tra i molteplici interessi del parroco, la politica occupa un posto importante. Altri passaggi dell’inchiesta (e della sentenza) lo mostrano in maniera ancor più evidente. (1. continua)

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