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L’idea del clan Megna: «Valigie diplomatiche per riportare “a casa” i contanti riciclati in Svizzera»

L’affare da 120 milioni e i dubbi del boss. Incroci con i servizi segreti deviati nelle parole dei pentiti. La Dda: «Argomento ricorrente»

Pubblicato il: 28/08/2023 – 7:04
di Pablo Petrasso
L’idea del clan Megna: «Valigie diplomatiche per riportare “a casa” i contanti riciclati in Svizzera»

CROTONE Il 20 agosto 2019 Salvatore Aracri e Domenico Megna discutono «di un’operazione bancaria di cui il primo si stava occupando». Non sembra cosa da poco, come molti degli affari (e, soprattutto, dei tentativi) documentati dall’inchiesta Glicine Acheronte: si tratta di «un trasferimento di fondi clandestini pari a 120 milioni di euro, dal Sud Est Asiatico all’Europa».
«L’operazione – riassumono i pm antimafia Domenico Guarascio e Paolo Sirleo – consisteva nel trasferire un flusso di denaro pari a 120 milioni di euro, da una serie di conti correnti ubicati nel Midwest asiatico sino in Europa, ove il flusso medesimo, ripartito in due tranche, da 49 e 71 Milioni di Euro, doveva essere “scaricato” su conti correnti secretati ubicati in Svizzera».

«Salvato’, non ci voglio pensare che mi prendi in giro»

Salvatore Aracri è considerato dai magistrati antimafia uno degli uomini del clan di Papanice in Germania. Nel cuore dell’Europa, stando alle dichiarazioni dei pentiti, molte cosche calabresi avrebbero avamposti per portare a termine investimenti e speculazioni finanziarie. Aracri, che vive nell’area di Muenster, racconta a Megna, capo della cosca, «l’esigenza di doversi recare in Svizzera per far approntare conti correnti secretati su cui far accreditare il denaro spettante alla cosca crotonese per la sua partecipazione all’affare». «… Solo per questo vado… fanno i conti… e poi con quelli andiamo a Zurigo… che quelli hanno detto che ci preparano… però ci vuole …». Il boss, sintetizzano i pm della Dda di Catanzaro nella richiesta di applicazione di misure cautelari, pretende «assoluta fedeltà da parte del proprio sodale, minacciando implicitamente, gravi ritorsioni».
«Salvatò – dice – non ci voglio nemmeno pensare che mi prendi in giro… omissis … e certe volte penso “che dovrebbe essere pazzo Salvatore se mi prende in giro”… possibile che arriva fino a questo punto?».

I dubbi del boss e l’aiuto dei servizi segreti per trasportare il contante in Italia

I dubbi del boss e l'aiuto dei servizi segreti per trasportare il contante in Italia

Questi mega affari pianificati dai clan su un mercato che sfugge ai controlli ed è dunque un crocevia di faccendieri, hacker e truffatori, non vanno spesso a buon fine. Forse il boss è preoccupato proprio per questo motivo. Aracri lo incontra di nuovo pochi giorni dopo, il 26 agosto, «dopo aver effettuato un viaggio al Nord Italia, dopo un primo tentativo, andato a vuoto, di concludere positivamente la sopra indicata transazione».
È sempre Aracri a spiegare «al boss che i “trader” con cui stava operando godevano di entrature tra membri dei Servizi Segreti italiani, attraverso i quali, una volta portata a termine la transazione, sarebbe stato possibile trasportare il denaro contante dalla Svizzera all’Italia senza timore di controlli».
«Tutto vecchio Mi’ – dice Salvatore Aracri a Megna – quindi la situazione è questa, i soldi passano da una decina di banche, alla fine devono essere compensati. Marc (si tratta di Marc Ulrich Goke, uno degli hacker a disposizione della cosca dei Papaniciari, ndr) da là, no? Eh, ha tutte le persone, loro c’hanno uno che manda e non hanno quelli che ricevono, che il problema sono quelli che ricevono … (incomprensibile) … noi ce l’abbiamo e noi l’abbiamo tramite i servizi non è che l’abbiamo che …omissis … i servizi segreti, allora i servizi segreti portano soldi all’estero, portano i soldi dall’estero, uno quando ha soldi in nero, no? Ha soldi in nero, sempre del giro loro li danno a loro e loro con le valigie diplomatiche, hanno valigie diplomatiche che portano soldi dove vogliono, però a quello gli hanno fa’ … gli fanno un conto criptato, loro hanno dei conti criptati e quelli i soldi se li portano in Svizzera, con i numeri e quello poi li va a prendere là, però quello ha già una parte della società, noi dovremmo fare una società…(incomprensibile)… in Svizzera, ci vuole uno svizzero…(incomprensibile)… che in Svizzera non se ne possono dare a meno che tu non sei là che hai la residenza, ti fanno la carta gialla eccetera, eccetera… io, queste cose …(incomprensibile)… ma tu la prossima volta se non ti fidi manda uno con me». Insomma, il denaro arriverebbe in Svizzera e poi verrebbe trasportato in Italia in «valigie diplomatiche» saltando i controlli, ma per completare il primo passaggio è necessaria una società che riceva i soldi e «ci vuole uno svizzero», cioè qualcuno che abbia lì la residenza: con questa persona il clan crotonese dovrebbe formare una società.

Il nervosismo di Megna: «Non è che ho la Banca d’Italia, Salvato’»

La centralità della Svizzera nelle operazioni di riciclaggio e l’intervento dei Servizi (in quel caso per bloccare i controlli su un maxi trasferimento di fondi) compaiono anche delle rivelazioni del pentito Gennaro Pulice: le parole dei collaboratori di giustizia che raccontano le spericolate operazioni finanziarie della ‘Ndrangheta (spesso) convergono.
Tanto spericolati, quei tentativi, da non riscuotere la piena fiducia di un boss come Megna. Che, nelle conversazioni confluite nell’indagine, pretende, «con sempre maggior insistenza, di introitare il denaro che gli era stato prospettato». «Salvato’ – dice preoccupato – scusami, i soldi sono arrivati o no?… omissis … si, ho capito io voglio capire se sono arrivati… omissis… sì, ma voglio sapere se sono arrivati…». Sarebbe la cosca Megna a finanziare le «attività delittuose eseguite in Germania». Tant’è che il capo ammonisce Aracri «circa le continue richieste di denaro utili a finanziare i suoi frequenti spostamenti verso l’estero». «Non è che ho la Banca d’Italia, io, Salvato’», dice. Le sue rimostranze nei confronti del “socio” tedesco aumentano. Aracri chiederebbe troppi soldi, e poi ha anche la pretesa di portare con sé, per gli spostamenti, la moglie. Messo alle strette, il presunto faccendiere della cosca cerca di giustificarsi. E ribadisce «ancora una volta che le attività che egli stava svolgendo per conto del clan crotonese fossero in quel momento condotte di concerto anche con soggetti (evidentemente corrotti) appartenenti ai Servizi segreti».

I pm antimafia: «L'apporto di 007 infedeli è un argomento ricorrente»

I pm antimafia: «L’apporto di 007 infedeli è un argomento ricorrente»

Se Domenico Megna è perplesso rispetto alle operazioni finanziarie all’estero (se non altro perché non vede i soldi), suo nipote Mario è incaricato di una sorta di attività di scouting nel Nord Italia per trovare imprenditori interessati a collaborare con la cosca nello spostamento del denaro. Servono conti correnti attivi sui quali far transitare le quote prelevate grazie agli hacker (e ai funzionari compiacenti di alcune banche) utilizzando i Pos in modalità offline. Operazione pericolosa, in caso di segnalazioni, ma remunerativa anche per i complici. In uno dei viaggi, Megna incontra Stefano Strini, ex genero di Calisto Tanzi, e gli chiede «se avesse la disponibilità di conti correnti esteri, cosa che avrebbe facilitato le operazioni». Strini dice di averne in Svizzera, poi la conversazione verte su un altro argomento sensibile per le indagini: sia Megna che Strini fanno «riferimento al fatto di potersi avvalere di loro entrature in apparati di intelligence». Nella conversazione salta fuori anche il nome del contatto di Strini; Megna, invece, non si sbilancia ma parla «di un soggetto appartenente ai servizi segreti italiani, intraneo anche a non meglio citate logge massoniche». I magistrati sottolineano che «l’apporto di appartenenti, evidentemente infedeli, ai Servizi Segreti per il buon esito di tali operazioni finanziarie, è argomento ricorrente, sia nelle captazioni ambientali intercettate, sia per come emerso dall’analisi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia».
Le intercettazioni di Salvatore Aracri, le dichiarazioni di Gennaro Pulice, quelle di Antonio Valerio (che parla di un faccendiere «che vantava dei contatti con i Servizi segreti») e Francesco Oliverio, boss pentito di Belvedere Spinello che riferisce di una “vicinanza” tra i conti usati dal suo clan e quelli utilizzati per far rientrare i fondi neri degli 007 infedeli; tutti costruiscono l’ipotesi di collegamenti tra le operazioni finanziarie della ‘ndrangheta e segmenti deviati dei servizi di sicurezza. Mondi diversi a stretto contatto nei paradisi fiscali, dove i controlli non esistono. (p.petrasso@corrierecal.it)

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