CATANZARO “Se ti dice che sei morto, sei morto”. Andavano per le spicce, i sodali della cosca Carpino dominante a Petronà e nella Presila catanzarese: nell’ordinanza del gip che ha disposto oltre 50 misure cautelari nell’ambito dell’operazione “Karpanthos” coordinata dalla Da di Catanzaro vengono tratteggiati i profili dei vertici del clan di ndrangheta.
Tra intercettazioni, risultanze investigative e precedenti giudiziari si staglia in particolare la figura di Salvatore Carpino, indagato in “Karpanthos”, che – scrive il gip – «faceva parte, insieme ad altri, di un gruppo organizzato, denominato Carpino o Trataculo, operativo anche nella zona di Petronà, che aveva intenzione di vendicare l’assassinio di Carpino Alberto, loro sodale, il quale era stato a capo dell’omonimo gruppo criminale, come dichiarato anche dai collaboratori di giustizia Scalese Luigi e Scarpino Carmine. In particolare, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è emerso che tale gruppo criminale, in seguito all’omicidio di Alberto Carpino, era intenzionato a porre in essere una ritorsione nei confronti dei Bubbo per affermare la propria primazia. Ulteriore riscontro – prosegue l’ordinanza – è offerto dalla sentenza emessa in data 17 aprile 1997, dalla Corte di Appello di Catanzaro, nella quale si legge che il gruppo facente capo a Carpino Alberto era composto anche dal fratello Carpino Salvatore, in posizione verticistica. A ciò devono aggiungersi le dichiarazioni rese, dopo l’omicidio di Sculco Angelo, avvenuto ad Andali il 13 ottobre 2003, da Talarico Angelo (poi assassinato il 10 aprile 2006), il quale sentito a sommarie informazioni in data 10 novemebre 2003 dal pm riferiva: “… Le persone che mi state nominando “Carpino Alberto, Carpino Salvatore alias Turivava, Colosimo Domenico alias “’ndrina”, Giglioni Mario e Rocca Giuseppe” le conosco tutte, in quanto facenti parte dei “Trataculo” di Petronà”».
Agli atti dell’inchiesta “Karpanthos” inoltre – si rimarca nell’ordinanza del gip – «una serie di conversazioni intercettate, tra le quali assume rilievo quella del 3 febbraio 2019, dalla quale, dal propalato di Brescia Carmine, emerge che, dopo la morte di Alberto, il ruolo di vertice era stato assunto proprio da Salvatore Carpino, il quale partecipava ai summit di ‘ndrangheta e si contrapponeva ai Bubbo; lo stesso, peraltro, veniva definito un “Cristianone”, ovvero un soggetto di rilievo nell’ambito della criminalità organizzata, che assicurava protezione ai suoi sodali e decretava le decisioni di morte dei nemici (“se ti dice che sei morto, sei morto”). Sono state citate, ancora, una serie di conversazioni intercettate, dalle quali emerge, ancora una volta, la contrapposizione esistente tra i Carpino ed i Bubbo, l’attuale operatività della cosca e la figura dell’odierno indagato, il quale, anche da detenuto, costituiva un punto di riferimento per i sodali e veniva, altresì, appellato con il nominativo di “zio”, termine riservato a coloro che occupano posizioni di rilievo all’interno dei clan». (redazione@corrierecal.it)
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