ROSARNO Una vera «impresa a conduzione familiare» a gestire la piazza di spaccio di Rosarno, stabilendone prezzi ed effettuando le consegne a domicilio. È quanto emerge dall’inchiesta “Smart delivery”, che lo scorso 20 ottobre ha portato all’arresto di 11 persone, per un totale di 23 indagate. Spiccano due nomi: Mario e Fortunato Martorano, i «figli di Natale» già detenuto e coinvolto nel processo “Magma”. Secondo gli inquirenti sarebbero stati proprio i due fratelli, insieme ad Antonio Paladino e Michele Pronestì (cl. ’75), entrambi indagati, ad aver provveduto al rifornimento e allo smistamento di droga nel comune reggino.
«Mario la sera non vengo! Dentro al paese c’è la legge se mi ferma la legge dentro al paese a Rosarno…ho paura». È Michele Pronestì a esporre la propria preoccupazione a Mario Martorano. Secondo il gip, il rapporto tra i Martorano e Pronestì, intermediario per diversi consumatori, dimostrerebbe come i due fratelli «avessero un ruolo decisivo nel mercato legato alla compravendita di sostanze stupefacenti». La scalata sarebbe stata favorita dai legami del padre Natale con esponenti della ‘ndrangheta rosarnese. Un vero e proprio affaire di famiglia, dal momento che ad aiutare i due fratelli sarebbero stati anche il cugino Andrea Facciolo e lo zio materno Domenico Scarmato, entrambi coinvolti nell’operazione. Il primo con il compito di “vedetta” e distributore, mentre il secondo avrebbe garantito al posto del padre detenuto un supporto importante nelle «fasi ordinative e di gestione dell’attività illecita». Il voluminoso giro economico sarebbe stato favorito da un’organizzazione metodica, che comprendeva le consegne a domicilio, il linguaggio criptico e prezzi ben definiti.
Gli inquirenti, tramite le intercettazioni, provano a ricostruire il tariffario imposto dagli spacciatori. Per quanto riguarda la marijuana, è lo stesso Pronestì a offrire un contributo agli investigatori. Durante una telefonata riferisce di «dieci grammi cinquanta euro». Un prezzo, dunque, che andrebbe tra i 2 e i 5 euro, come confermano le comparazioni con altri processi. Più variabili e alti i costi della cocaina che supererebbero anche i 50 euro «a seconda del diverso grado di purezza che la stessa può avere sul mercato». Le cifre, scrive il gip, «trovavano corrispondenza anche nel linguaggio in codice utilizzato dai vari consumatori». Il riferimento è alla «birra e mezzo» (un grammo e mezzo) e alla «mezza birra» (mezzo grammo) con cui venivano richieste dosi di cocaina. (redazione@corrierecal.it)
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