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«La nostra forza? L’adattamento. Un americano lascerebbe subito la Calabria»

Michela Varrese ha rinunciato al posto fisso per la danza nella Grande Mela. La rete con le altre donne italiane e quella bottega coi prodotti tipici

Pubblicato il: 12/11/2023 – 12:00
di Eugenio Furia
«La nostra forza? L’adattamento. Un americano lascerebbe subito la Calabria»

Da dieci anni è una pole dancer, ballerina di pole, e nel 2022 ha tagliato il cordone ombelicale con il “posto fisso” (e con la Calabria) per dedicarsi a tempo pieno alla disciplina, «con tutte le incertezze del caso» dice. Ha ottenuto la prima certificazione di insegnante a Roma e una volta trasferitasi negli USA nel 2023, ne ha conseguito una successiva, a New York City. Attualmente insegna in Connecticut e a Chelsea, Manhattan.

• CHI è Michela Varrese
Michela Varrese nasce a Lamezia Terme nel 1984. Frequenta il liceo linguistico Tommaso Campanella a Nicastro per poi trasferirsi a Cosenza e proseguire gli studi in Lingue e Culture Moderne. Contestualmente agli anni universitari e al lavoro come consulente telefonico, team leader e formatrice in un’azienda di customer care – «all’epoca fiore all’occhiello della regione, ora non più…» commenta – posa come fotomodella prediligendo i concept shoots e figura in video clip musicali, collaborando con diversi artisti e fotografi. Nel 2013 inizia a praticare la pole dance, forte degli studi di danza intrapresi durante l’infanzia. Da allora non ha più smesso.

Quando e perché ha lasciato la Calabria?   
«Metto subito le cose in chiaro dicendo che la Calabria non l’ho mai davvero lasciata, a cadenza tri/semestrale vi faccio ritorno. Il mio intento è quello di tornare definitivamente tra qualche anno. Anyway (concedetemi di fare l’italiana all’estero), nel gennaio 2023 sono arrivata negli Usa; una serie di eventi mi hanno condotta qui, stravolgendo completamente la mia vita sia da un punto di vista sentimentale, che lavorativo. So molto bene cosa significa “start from scratch” così quanto essere ingabbiati in una routine di anni senza alcuna soddisfazione. Entrambe le “cose” difficili da sopportare, gestire e digerire, ma io ho scelto la prima, ricominciare da zero, il mio movente per mettere in stand by la Calabria».

Rimpiange o le manca qualcosa?   
«Mi manca la mia famiglia, il mio cane in modo particolare. Gli amici, le uscite e i caffè organizzati all’ultimo minuto consci di poter vedere e raggiungere chiunque e qualunque posto perché “dietro l’angolo”. Qui a volte le distanze diventano invalidanti sia per poter avere una vita sociale che per il proprio benessere psico-fisico; trascorrendo molto tempo nei mezzi pubblici l’aria condizionata per esempio, diventa un serio problema per la propria salute. Noi europei questo lo sappiamo bene. Pertanto rimpiango la mia auto e il sole soprattutto. Non sono assolutamente pronta ad un inverno lungo 8 mesi. Il mio rimpianto più grande resta il fatto di non aver intrapreso prima quello che ho sempre rincorso ed amato, ovvero insegnare la pole dance. Ma se è vero che ogni cosa è a suo tempo, vuol dire che il mio tempo è questo. A tal proposito ringrazio il mio compagno che ha sempre creduto in me, a differenza mia; e l’America per darmi infinite opportunità di crescita professionali e non. Dopo tantissime delusioni e sacrifici la mia più grande soddisfazione qui è quella di essere per tutti i miei studenti “una amazing teacher”! (insegnante meravigliosa, ndr)».

Cosa salva della Calabria?   
«Il clima e il cibo sono in cima alla mia lista. Salvo in modo categorico il modo di essere di noi Calabresi, schietti e diretti, politically correct dove bisogna esserlo e non perché lo si deve essere. L’ipocrisia e l’atteggiamento passivo aggressivo in Calabria non sono così predominanti come in questo paese. La Calabria è la terra che ti permette di crescere con dei valori molto forti».

Cosa non le piace del posto dove vive adesso?   
«Io vivo a Riverdale, un quartiere residenziale del Bronx, uno dei posti più vivibili della grande mela per la pulizia e il bassissimo tasso di criminalità. Van Cortland Park, il terzo parco più grande di New York, è il mio dirimpettaio! It’s, oh, so quiet… Canticchiando Björk. È sempre tutto troppo tranquillo, a volte mi mancano le vibes della città. Quando cammini qui non vedi molte persone, talvolta sembra di essere l’unico abitante che vaga tra le ville stratosferiche e giardini immacolati, ma poi raggiungi Emiliano’s market, il proprietario è di Guardia Piemontese, ti immergi nei prodotti tipici calabresi, siciliani e italiani in generale ed è subito casa. Stavo quasi per dimenticare la cosa peggiore, la musica terribile e incessante che ascoltano i dominicani (ride)».

Com’è strutturata la comunità dei calabresi nel luogo in cui vive?   
«Onestamente noi calabresi non abbiamo una vera e propria comunità. Siamo  presumibilmente tanti e dislocati in ogni dove. Da poco invece faccio parte di Iwusa, la prima Community nata come punto di riferimento per le donne italiane negli Stati Uniti, con la missione di promuovere, all’interno di uno spazio sicuro, la condivisione di esperienze, competenze e iniziative mirate alla crescita personale e professionale di ciascuna di noi. Ho già conosciuto alcune di loro, ma essendo in tantissime, ci si incontra per area geografica, io faccio parte del gruppo di  Italiane Uptown». 

Qual è secondo lei la forza dei calabresi fuori dall’Italia?   
«Un forte spirito di adattamento. Se provo ad immaginare un calabrese che si trasferisce qui, senza parlare l’inglese e senza conosce NYC, penso che dopo un tot di tempo il soggetto possa abituarsi e vivere dignitosamente. Se provo invece ad immaginare un americano che si trasferisce in Calabria, senza conoscere né il posto né l’italiano, (considerando soprattutto il problema mobilità nella nostra regione), il risultato sarà fare un biglietto di ritorno! Scherzi a parte, sono fermamente convita che noi calabresi abbiamo tutti un senso di rivalsa per ciò che ci è stato negato per ragioni geografiche e non solo».

Ci sono, al contrario, degli stereotipi che ci inchiodano a luoghi comuni non più attuali o comunque folkloristici e frutto del pregiudizio?  
«Personalmente non sono ancora mai incappata in stereotipi o cliché del tipo: testa dura o mafia. Anche perché il mio ambiente, che è quello della danza, è forse il più multietnico in assoluto».

Tornerà in Calabria?   
«Sì, ribadisco quello che ho detto nella prima risposta…».

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