Da “partita proibitiva” (parole di Vivarini) a ennesima prova di maturità e superiorità è un attimo. Ora è certo: il Catanzaro visto all’opera venerdì sera al “Barbera” di Palermo può veramente sognare in grande. Non che le tre sconfitte consecutive pre-derby avessero ridimensionato il valore dei giallorossi, apparsi anche in quel periodo forti mentalmente.
Di fronte a una cosiddetta corazzata del torneo, la cui proprietà, il Football Group, controlla nientemeno che il Manchester City e sul mercato ha speso più del doppio di Floriano Noto, Biasci e soci hanno sfoderato una prestazione quasi impeccabile. E non è un caso che abbia scritto Biasci, che di nome fa Tommaso, e non Iemmello o Vandeputte. La seconda punta quasi trentenne di San Giuliano Terme (nel Pisano) che in carriera, prima di piombare quest’anno in cadetteria, aveva giocato prevalentemente in C e D, nel capoluogo calabrese sta vivendo la sua annata speciale, da conservare per sempre nel cassetto dei ricordi: 5 gol fino a qui, quasi tutti decisivi, e l’impressione che capitan Iemmello accanto a lui riesca ad essere più incisivo. Ma a convincere in terra sicula, ancora una volta è stata l’organizzazione tattica dell’undici di Vivarini, che mai, nei suoi quattro precedenti, aveva vinto a Palermo. La difesa, se si esclude il finale di partita, non ha mai sofferto i grossi nomi dell’attacco rosanero, Katseris sulla destra è stato a tratti devastante (e non è più una novità), in mezzo al campo Vandeputte, Pompetti e Ghion, con tocchi di prima e continui movimenti senza palla, hanno regalato al pubblico pagante la solita grande bellezza, facendo saltare i piani tattici di un Corini cupo e senza idee. Il tecnico ex Chievo e Brescia, con quattro sconfitte casalinghe su cinque totali (contro avversari sulla carta non di prima fascia: Cosenza, Cittadella, Lecco e Catanzaro) rischia seriamente di saltare. Di certo a saltarlo nel gioco e in classifica, è stato il Catanzaro, seguito da mille spettatori in un brillante e tiepido venerdì sera siciliano, in cui l’eruzione spettacolare dell’Etna ha chiuso l’aeroporto di Reggio Calabria e bloccato alcuni voli. Non quello delle Aquile però.
Criticare il Cosenza versione 2023-2024 non è semplice. Nemmeno quando perde come ha fatto sabato contro una Ternana penultima e non trascendentale. Non è semplice criticarlo perché si guardano classifica (ancora discreta) e organico a disposizione di Caserta e la memoria vola subito alle sofferenze-umiliazioni che la tifoseria silana è stata costretta a patire negli ultimi cinque anni. Il sospetto, però, è che il passato stia diventando un alibi ingombrante per giustificare i passi indietro di una squadra che a questo punto del torneo avrebbe quantomeno dovuto evidenziare una crescita costante nel gioco e nell’identità.
Al di là della sfortuna per l’infortunio muscolare di Canotto (finalmente in palla) e per i pali record colpiti da Tutino (ben sette); al di là della testa altrove di Forte (coinvolto nell’inchiesta sul calcioscommesse) e di una difesa da film horror in cui lo Sgarbi “ammirato” contro gli umbri (non ce ne voglia) pare essere il simbolo indiscusso, la sensazione è che a regnare nello spogliatoio rossoblù siano soprattutto la fragilità emotiva e la mancanza di compattezza. Fattori che, invece, nella seconda parte del campionato scorso, fecero le fortune del Cosenza (tecnicamente inferiore) di William Viali. Due limiti che sono ormai una costante di questa stagione da alti e bassi e che sono stati messi a nudo durante il derby contro il Catanzaro in cui ci si aspettava una prova di carattere e orgoglio, proprio come fatto dai giallorossi. Le responsabilità di questa strana involuzione potrebbero essere facilmente spartite tra allenatore (apparso spesso molle nell’atteggiamento e senza una linea ben precisa quando c’è da fare formazioni e sostituzioni), squadra (poco unita o spaccata) e società che, rompendo con la sua triste tradizione, ha puntato tutto su un attacco super e imbottito di doppioni, senza badare alle evidenti carenze tecniche degli altri reparti. Ma, forse, per evitare che tale depressione generale si trasformi in un tracollo psicologico – impensabile fino a un mese fa – di piazza e calciatori, più che buttare la croce sul colpevole di turno, sarebbe opportuno analizzare con lucidità ciò che sta accadendo dalle parti del “San Vito-Marulla”. Sia nelle stanze dei bottoni, sia sugli spalti, ormai rimasti quasi desolatamente vuoti.
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