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la vicenda oscura

Le “navi a perdere” e la morte del capitano Natale De Grazia: 28 anni di misteri

Il traffico di rifiuti tossici e le imbarcazioni affondate nel Mar Mediterraneo. Il decesso la notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995

Pubblicato il: 13/12/2023 – 10:22
di Mariateresa Ripolo
Le “navi a perdere” e la morte del capitano Natale De Grazia: 28 anni di misteri

REGGIO CALABRIA Cosa accadde realmente la notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995 a Natale De Grazia? Esattamente ventotto anni dopo, la morte del capitano di fregata rimane avvolta nel mistero e i tanti interrogativi che aleggiano sulla sua prematura scomparsa sono ancora senza una risposta. Una cosa è certa: De Grazia stava indagando sul traffico di rifiuti tossici e radioattivi e le imbarcazioni affondate nel Mar Mediterraneo, una vicenda dietro alla quale aleggia lo spettro della criminalità organizzata, che affondando le imbarcazioni insieme al loro carico di morte faceva piazza pulita in un colpo solo di scorie tossiche e radioattive. La verità sul sistema messo in atto tra gli anni Settanta e Novanta oggi appare lontana più che mai, una verità a cui il capitano si stava velocemente avvicinando, ma venne fermato prima. Emblematiche le parole che Franco Neri, nel 1995 procuratore di Reggio Calabria che coordinava le indagini, pronunciò nel corso di un’intervista a “Le Iene”: «Se non fosse stato eliminato De Grazia, sono certo che ci avrebbe portato sulla Rigel. Purtroppo non ci è stato consentito di dimostrare la verità».

La Rigel e le altre “navi a perdere”

Il relitto della Rigel, affondata nel 1987

Il 21 settembre 1987 la motonave maltese Rigel affonda a 20 miglia Sud-Est da Capo Spartivento, e porta con sé, negli abissi del Mar Ionio, tutto il suo carico. Cos’era custodito al suo interno? Perché venne fatta affondare? Difficile dare una risposta certa. Quella che stava cercando (e probabilmente quasi trovato) De Grazia poco prima della sua morte. La nave non tornerà mai più a galla. Ma non fu la sola. La Direzione investigativa antimafia – rileva Legambiente sul sito dedicato – in un documento del 2001 accerta che dal 1995 al 2000 sono scomparse nei mari del mondo ben 637 navi, di cui 52 nel Mediterraneo. Legambiente, comparando varie fonti, ne ha contate almeno 88 di navi che giacciono nei nostri fondali. Altre navi affondate in maniera sospette sono la Nicos 1, la Mikigan, la Four Star I, la Anni, la Rosso (spiaggiata ad Amantea), la Alessandro I, la Marco Polo, la Korabi Durres.

La nave Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Amantea
Mappa con la posizione di alcuni delle navi affondate

Fu proprio Legambiente a denunciare il pericolo con un esposto presentato il 2 marzo 1994 nel quale si parlava l’esistenza, in Aspromonte, di discariche abusive contenenti materiale tossico-nocivo e/o radioattivo, trasportato con navi presso porti della Calabria e, successivamente, in montagna con automezzi pesanti. Nella denuncia – scrive la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti – si evidenziava come il territorio calabrese si prestasse particolarmente alla realizzazione di discariche abusive, sia perché i porti erano scarsamente controllati, sia perché l’Aspromonte, con le sue caverne naturali, appariva il luogo ideale in cui nascondere questo tipo di materiale. Dopo l’esposto, in poco meno di un anno le indagini ebbero sviluppi inimmaginabili, tanto che nel giugno 1995 il sostituto procuratore Francesco Neri sentì l’esigenza di trasmettere al procuratore capo una relazione nella quale evidenziava le tappe investigative e i sorprendenti scenari che si erano aperti, per i quali riteneva necessario procedere con rogatorie internazionali, collaborazioni con altre procure, non solo calabresi, e scambio di informazioni con i servizi segreti. Nelle indagini sulle cosiddette “Navi a perdere” divenne centrale la figura del capitano De Grazia. Proprio per la complessità delle situazioni emerse venne creato un apposito pool investigativo, che oltre a De Grazia, era costituito dal maresciallo capo Domenico Scimone, appartenente alla sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri presso la procura di Reggio Calabria, dal maresciallo Nicolò Moschitta e dal carabiniere Rosario Francaviglia, questi ultimi due appartenenti al Nucleo operativo del reparto operativo Carabinieri di Reggio Calabria.

La morte di De Grazia il 13 dicembre 1995

Era partito da Reggio Calabria e diretto con il maresciallo Nicolò Moschitta e il carabiniere Rosario Francaviglia al porto di La Spezia: De Grazia a destinazione non ci arriverà mai. Lì avrebbero dovuto dare esecuzione ad alcune deleghe dell’autorità giudiziaria, un’attività alla quale avrebbe dovuto necessariamente partecipare il capitano De Grazia, in ragione di una competenza specifica nella materia marittima, tale da renderlo elemento insostituibile nello svolgimento delle indagini. Un viaggio che era rimasto segreto, considerando l’importanza delle indagini in corso, ma che si interrompe per sempre molto prima della destinazione. I tre avevano cenato al ristorante “Da Mario” a Campagna, in provincia di Salerno, prima che il capitano di fregata – secondo quanto raccontato dai suoi due compagni di viaggio – sul tratto autostradale di Salerno iniziasse a sentirsi male, per poi morire. Un dramma che si consuma nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995: Natale De Grazia morirà a soli 39 anni per cause che a molti, compresi i pubblici ministeri titolari dell’indagine allora in corso, apparvero quanto meno sospette e che ancora oggi, a distanza di anni, continuano ad essere considerate tali. De Grazia verrà trasportato in ambulanza presso l’Ospedale civile di Nocera Inferiore, dove arriverà alle ore 0.50 già morto.

I misteri e gli interrogativi

Sulla base dei risultati dell’autopsia contenuti nella relazione depositata nel marzo 1996 dal medico legale nominato dal pubblico ministero fu richiesta e ottenuta l’archiviazione del procedimento. «La morte di Natale De Grazia […] può ricondursi per sua natura ad una morte di tipo naturale, conseguente ad una insufficienza cardiaca acuta, inquadrabile più specificamente nella fattispecie della “morte improvvisa dell’adulto”» viene bollata dalla dottoressa Simona Del Vecchio. All’autopsia parteciperà anche il consulente di parte, il dottor Alessio Asmundo, l’unico a portare con sé uno strumento essenziale al fine di eseguire l’esame: una macchina fotografica. Il procedimento viene archiviato, ma un anno dopo, a seguito dell’istanza di riapertura delle indagini presentata dai congiunti del capitano De Grazia, viene disposta una nuova consulenza medico legale, che stranamente viene affidata allo stesso consulente che aveva espletato la prima, ossia alla dottoressa Del Vecchio. La specialista, finita poi al centro di un’inchiesta su presunte “autopsie fantasma”, ribadirà che il decesso era riconducibile a cause naturali. Sarà nel 2013 il consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, il professor Giovanni Arcudi, a parlare della morte del capitano di fregata per «causa tossica», quindi a causa di un avvelenamento. Una vera e propria svolta che arriverà dopo 17 anni.
Ma la visione delle foto del volto di Natale De Grazia, spuntate solo più tardi, farà emergere un’altra ipotesi che apre a scenari ancora più intricati e inquietanti. Il volto tumefatto del capitano, che appare in foto poco dopo la morte, fa pensare a un terzo scenario secondo il quale il capitano sarebbe stato sequestrato e torturato prima di essere ucciso.

La foto del volto di Natale De Grazia allegata al fascicolo d’indagine sulla morte

Le indagini arenate

Arenate come quelle navi su cui De Grazia stava indagando. Di certo fino ad oggi c’è solo che le indagini sulle navi dei veleni ebbero una brusca battuta d’arresto: il decesso del capitano coincise con una fase di rallentamento, e successivamente, di vero e proprio arresto. Un progressivo sfaldamento dell’attività investigativa concomitante a quello del pool che fino ad allora aveva profuso impegno ed energie negli accertamenti connessi al traffico di rifiuti radioattivi e all’inquinamento totale dei mari. Misteri che a distanza di ventotto anni rimangono tali, con una verità completamente sommersa. (m.ripolo@corrierecal.it)

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