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Che ci faccio qui? o Dove sono qui?

«Faceva molto freddo, ma il sole riscaldava come nelle luminose giornate invernali. Andare al “accompagnare” Antonio Pasceri, discepolo di mio padre, con cui creavano centinaia di bellissime paia di…

Pubblicato il: 31/01/2024 – 16:43
di Vito Teti
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Che ci faccio qui? o Dove sono qui?

«Faceva molto freddo, ma il sole riscaldava come nelle luminose giornate invernali. Andare al “accompagnare” Antonio Pasceri, discepolo di mio padre, con cui creavano centinaia di bellissime paia di scarpe, vicino di casa, grande amico, che da bambino mi prendeva in braccio e mi faceva giocare, è stato un dolore, un dovere, un piacere, un sentimento. Aveva quasi novant’anni e al lutto c’era tutto il paese, tanti forestieri dei paesi dove si erano sposate alcune sue figlie, come quando se ne va un uomo buono, stimato, sempre garbato e corretto. Il vuoto è meno vuoto. La mappa delle migliaia di paesani sparsi e spersi nel mondo viene aggiornata e rinnovata dalle persone che s’incontrano e si salutano. Mastro Toto mi si avvicina, mi saluta, mi sorride. Ci siamo persi, dice, stai bene?, fatti vedere! Certo, Mastro, dico, mi farò vedere, sono stato impegnato. Il mastro da giovane cantava, suonava, guidava le compagnie nelle lunghe notti, parcheggiava la macchina sul palco della festa, e tante altre magie faceva, e tante meraviglie accadevano e molti di noi restarono incantati di quel mondo di fiaba e restarono. Non era così. Poi quasi tutti sono partiti. Mastro, gli dico, ma voi non uscite mai? E che devo uscire? mi dice. Non c’è nessuno. C’è più movimento nel bosco Fellà, dove almeno senti correre qualche cinghiale e vedi delle volpi fuggire, che non nella piazza con le porte tutte chiuse e manco un cristiano. Penso che a chi cresce adesso o a chi arriva da fuori, il vuoto possa esercitare un benessere, un senso di quiete e di serenità. Dagli squarci dei balconcini cadenti scorgi paesaggi d’incanto, lo Stretto e il Reventino, le sabbie e gli ulivi, le nuvole e i tramonti. E, allora, come è bello stare un paese. Ma se per qualcuno quella casa non è soltanto una casa, quella strada vuota non è solo una strada, le porte chiuse non sono delle tavole in disfacimento: sono tutto quello che tu sei stato, i volti che hai fissato, i compagni con cui hai giocato, le persone con cui hai mangiato e bevuto; sono – le case, le strade, le porte, i vicoli vuoti e deserti – la tua memoria, la tua nostalgia, i tuoi rimpianti, la tua immaginazione di quanti chissà dove sono andati, non hai visto più da una vita e senti sempre lì, con il loro respiro, la loro ombra. Vi assicuro, stare in paese è anche un tormento. Solo chi sa amare, può capirlo. Ciao Antonio, mannaggia, quanto mancherai anche tu e, adesso che vai in un altro posto, saluta mio padre, il tuo maestro, e provate a fare scarpe solide e comode perché ho la certezza che quelli che verranno dovranno fare un lungo cammino, senza una meta precisa, in nuovi, inesplorati luoghi, magari in quelli dove abitiamo noi adesso».

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