ROMA Sono circa 1,1 milioni di italiani con meno di 35 anni che hanno un elevato rischio di dipendenza da social media. È quanto emerge ad una ricerca realizzata dall’istituto Demoskopika. Secondo la ricerca, sono 430 mila le persone tra i 18 e i 23 anni, 390 mila tra i 24 e 29 anni, 308 mila tra i 30 e i 35 anni che hanno un rapporto problematico con i social media: hanno bisogno di usare sempre di più i social, nonostante i tentativi non riescono a smettere di impiegarli, hanno comportamenti ansiosi o agitati legati al mancato utilizzo dei social, sacrificano ore di studio o di lavoro per dedicarvisi. «I dati rilevati sul campo confermano una preoccupazione sui rischi comportamentali legati all’utilizzo eccessivo e pervasivo dei social», dice il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio. «Ad oggi, però, la politica non sembra particolarmente attenta o, nella migliore delle ipotesi, sembra rinchiusa nel limbo della meditazione su quali misure metter in campo per arginare il “lato oscuro della Rete”. In questa direzione sarebbe utile avviare una capillare campagna di comunicazione della Presidenza del Consiglio». Secondo l’Istituto, inoltre, l’impatto dei social è sempre più pervasivo e i rapporti intermediati superano quelli vis a vis: la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di usare tutti i giorni i social (85,7%) o un personal computer (79,8%). Per circa quasi 7 giovani su 10 prevale l’ascolto di musica oppure guarda la televisione principalmente attraverso le piattaforme digitali (67,4%). Al contrario, solo il 36,7% dei giovani vede di persona quotidianamente gli amici e appena il 17,3% trascorre il tempo libero con parenti e familiari.
Secondo l’indagine, tra le Regioni sono Sicilia, Campania e Umbria, con una percentuale di poco superiore all’11% della popolazione under-35, ad avere il più alto tasso di giovani a rischio dipendenza (rispettivamente, 106,8 mila, 131,4 mila e 16.500 mila). Sopra il 10% anche Lazio (109,1 mila giovani), Toscana (66,9 mila), Abruzzo (24 mila), Valle d’Aosta (2.300), Trentino Alto Adige (22,5 mila), Marche (27,4 mila), Puglia (78,9 mila), Basilicata (10,7), Molise (5.500) e Piemonte (75,3 mila). La ricerca è stata condotta su 3 mila giovani residenti in Calabria, tuttavia, precisano i ricercatori, «considerata la rilevante numerosità degli intervistati e la significativa omogeneità nei consumi dei social media da parte dei giovani in Italia, i risultati emersi possano essere inferiti per l’intero territorio nazionale».
In Sicilia, Campania e Umbria la maggiore incidenza. La Sicilia con 106,8 mila giovani più esposti si colloca in cima con un’incidenza dell’area “High Addiction” pari all’11,155% seguita da Campania e Umbria rispettivamente con 131,4 mila giovani (11,144%) e 16,5 mila under 35 anni (11,138%). Sono dieci, inoltre, i sistemi giovanili con un peso degli under 35 a più alto rischio di dipendenza da social media al di sopra dieci punti percentuali: Lazio con 109,1 mila giovani (10,559%), Toscana con 66,9 mila giovani (10,550%), Abruzzo con 24 mila giovani (10,493%), Valle d’Aosta con 2,3 mila giovani (10,473%), Trentino Alto Adige con 22,5 mila giovani (10,459%), Marche con 27,4 mila giovani (10,401%), Puglia con 78,9 mila giovani (10,363%), Basilicata con 10,7 mila giovani (10,220%), Molise con 5,5 mila giovani (10,067%) e Piemonte con 75,3 mila giovani (10,048%). Le rimanenti regioni, infine, registrano un rapporto al di sotto della media italiana, pari al 10,73%: Emilia-Romagna con 80 mila giovani (9,968%), Veneto con 87 mila giovani (9,833%), Liguria con 24,5 mila giovani (9,726%), Sardegna con 25,6 mila giovani (9,663%), Lombardia con 179,4 mila giovani (9,642%), Calabria con 34,9 mila giovani (9,615%) e, infine, Friuli Venezia Giulia con 19,7 mila giovani (9,597%). Per quanto riguarda il fenomeno dell'”odio in rete”, prevale la condanna (81,6%), ma i giustificazionisti si fanno sentire (40,6%). Analizzando le risposte degli under 35 italiani emerge un atteggiamento prevalentemente di condanna rispetto al fenomeno dell’incitamento all’odio in rete, pari all’81,6%. In particolare, l’83,7 degli interpellati ritiene che l’incitamento all’odio in rete comporti «conseguenze sulla vita reale degli offesi» a cui fa immediatamente eco una consistente quota del 79,5% che lo ritiene una «forma molto grave di aggressione dell’altro». A chiudere l’orientamento dei colpevolisti la percezione di chi pensa che l’hate speech sia un fenomeno «legato a maleducazione» di chi lo commette (76,9%). Le rimanenti affermazioni sono state inserite per misurare il livello di giustificazionismo del fenomeno, pari complessivamente al 40,6%. In questa direzione, ben il 74,3% ritiene che le social insidie «rispecchino le tensioni della società» e, in forma meno significativa, sia una «modalità tipica della comunicazione online» (41,3%). E, ancora, per il 27,2% «sono solo parole», «evita che l’odio si esprima nella vita reale» (25,6%) e, infine, risulta un “modo accettabile per ridurre la rabbia” (20,4%).
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