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I voti dai clan “amici” della ‘ndrangheta: l’elezione a Bari di Lorusso e l’impegno del nipote del boss Parisi

Tra le carte dell’inchiesta della Dda di Bari, la figura della consigliera comunale eletta nel 2019. A caccia di voti il compagno e il padre oncologo

Pubblicato il: 28/02/2024 – 12:11
di Giorgio Curcio
I voti dai clan “amici” della ‘ndrangheta: l’elezione a Bari di Lorusso e l’impegno del nipote del boss Parisi

LAMEZIA TERME In cambio della promessa di voti «si impegnava a favorire i suoi interlocutori nella sua attività amministrativa». A scriverlo nero su bianco è il gip del Tribunale di Bari, Alfredo Ferraro, nell’ordinanza che ha portato, tra gli altri, all’arresto di Maria Carmen Lorusso. Non un nome qualunque, ma la consigliera comunale di Bari, poi effettivamente eletta nel 2019. A sostenerla sarebbe stato il compagno, poi marito, Giacomo Olivieri, lui finito in carcere, lei ai domiciliari. Il suo impegno si sarebbe consumato attraverso la ricerca di consenso elettorale e voti, pescati però in un bacino di soggetti appartenenti o vicini alla criminalità organizzata.

L’impegno del clan per Lorusso

Una ricostruzione inquietante quella effettuata dalla Distrettuale antimafia di Bari, la cui tesi accusatoria è stata in gran parte accolta dal gip. A dispiegare le proprie forze sarebbe stato il clan Parisi, attraverso Tommaso Lovreglio, figura di spicco della famiglia, in strettissima connessione con la ‘ndrangheta calabrese. La vicinanza della famiglia egemone nel quartiere Japigia di Bari è stata ricostruita nella stessa inchiesta, a cominciare alla figura del boss “centralizzato” Savinuccio Parisi la cui investitura sarebbe arrivata addirittura dal clan Bellocco di Rosarno. Lovreglio – scrive il gip nell’ordinanza – nipote dell’indiscusso capo-clan, avrebbe promesso ad Olivieri i voti per la candidata Lorusso, reperiti nel quartiere Japigia, «in cambio della consegna di diecimila euro, avendo già garantito il proprio appoggio all’Olivieri in occasione delle elezioni primarie del candidato sindaco Pasquale Di Rella». Ma non solo. Ad appoggiare la candidatura della Lorusso sarebbero stati anche altri esponenti della criminalità organizzata, sempre contigui ai Parisi, come Michele Di Tullio e il figlio Donato. Per l’accusa Maria Carmen Lorusso e il compagno avrebbero promesso denaro, ma anche buoni spesa e benzina, in un caso la sistemazione lavorativa per un parente, in cambio di voti. Consensi chiesti anche a due gruppi di tifo organizzato i “Cani Sciolti” di Bruno Montani e i “Bulldog” di Leonardo Montani.  

L’impegno del padre oncologo

A chiedere sostegno al gruppo Parisi ci avrebbe pensato anche Vito Lorusso, padre della candidata Maria Carmen, all’epoca oncologo presso l’Ospedale Oncologico Giovanni Paolo II di Bari, finito ai domiciliari a luglio nell’ambito di un’inchiesta per concussione. Secondo l’accusa, e come riportato dal gip nell’ordinanza, al fine di ottenere voti per la figlia, «si sarebbe accordato con Massimo Parisi, fratello del capo clan Savino, tanto da doverlo ringraziare per il successo elettorale, nella consapevolezza che si trattasse del fratello del capo clan Parisi, offrendo in cambio il proprio interessamento per il nipote del boss, malato oncologico poi deceduto».

Le cene a Polignano a Mare

Dagli atti dell’inchiesta risulta una prima cena organizzata tra Lovreglio e Olivieri il 27 febbraio 2019 in un ristorante di Polignano a Mare. Tra i messaggi precedentemente scambiati tra i due, ce n’è uno in cui Lovreglio invitava l’interlocutore a comunicare tramite WhatsApp proprio nel tentativo di eludere eventuali indagini. «Gli ho preso un locale, ora gli troviamo un locale, gli devo mettere una persona dentro… qualche ragazza dentro a lavorare…» spiega in una conversazione intercetta proprio Lovreglio. «(…) una volta a quello gli levarono il Porsche, gli diedi il Porsche indietro gli diedi…». Particolarmente interessante, poi, la conversazione intercettata ancora tra Lovreglio e il cugino, facendo riferimento a un presunto prestito da 200mila euro chiesto da Olivieri. «(…) per piacere, puoi chiedere a tuo zio, a dicembre ti rientrano, ho detto io “mio zio dove sta non si può parlare” duecento mila euro… per la campagna elettorale…». E ancora dice Tommaso Lovreglio: «…questo è il candidato, questo è il candidato, questo è il candidato… stanno dando cinquanta… allora quello viene a me e mi da cinquanta io prendo, vado a Michele “prendi questi sono venticinque vai a votare…” (…) venticinque a Michele e venticinque a me! Prendi venticinque a te e venticinque a me! Venticinque a te e venticinque a me!». 

La pretesa dei voti

Gli inquirenti riescono a intercettare un altro dialogo significativo tra Olivieri, Vito e Maria Carmen Lorusso. È il 26 aprile 2019 e i tre fanno riferimento – scrive il gip nell’ordinanza – ai voti che Olivieri si aspettava di raccogliere nel quartiere Japigia, zona di competenza del clan Parisi. Un’attesa descritta come una vera a propria pretesa, utilizzando espressioni esplicite e volgari, con il consenso della moglie e del suocero, mostrandosi spietato e irrispettoso nei confronti anche della malattia grave da cui era affetto il nipote del boss. «(…) oggi ho incontrato quelli di Japigia… il tuo incubo…» dice Olivieri a Vito Lorusso «i cugini là… ho detto “ehi… mo’ lo dico a modo mio… se quella non prende cinquecento voti a Japigia, io prendo Io stomaco di B. e glielo faccio a pezzettini personalmente… cioè lo faccio stare peggio di come stava prima che conoscesse mio suocero…». E ancora: «… il 26 maggio notte io sto a casa di… come non prendo cinquecento voti gli tiro le ‘ndrame’ (l’intestino ndr)».

A tu per tu con i boss

Così come scrive il gip nell’ordinanza, dall’inchiesta non solo è emersa la spavalderia di Olivieri, ma anche una sua particolare attitudine a comportamenti tipicamente mafiosi. Come l’utilizzo di termini ed espressioni come “fare la guerra” o “è un’offesa”, senza mostrare – scrive ancora il gip – alcun tipo di timore nel rapportarsi, anche in modo aggressivo, proferendo vere e proprie minacce a un esponente del clan Parisi. «Ho detto “Tommaso… non sbagliare proprio… che proprio non te lo puoi proprio permettere…”». Sull’aspettativa di voti del clan Parisi da parte del trio Olivieri-Lorusso c’è una intercettazione dell’1 maggio 2019, a poche settimane dal voto, nel corso della quale venivano nuovamente fatti riferimenti alla malattia al nipote del boss Parisi, con commenti volgari e violenti. «(…) vedi che io 27 o 28 di maggio andrò ad accompagnare Gaetano a Milano, alla visita di controllo…» dice Vito Lorusso. «Se il 27 esce un brutto risultato buttalo giù dalla macchina» risponde Olivieri, con l’appoggio della compagna: «Bravo, non lo accompagnare proprio!». E ancora Olivieri: «Oh… che le sezioni di Japigia io ce le ho tutte… l’importante è il 28 maggio!», con la replica del futuro suocero: «Quello non ha lunga vita eh… quello non arriva alla fine dell’anno!». Un commento tanto brutale da suscitare la replica della moglie dell’oncologo: «… e un po’, dai… ma fate schifo!».

L’elezione e i ringraziamenti

Maria Carmen Lorusso verrà effettivamente eletta e il padre non mancherà di dimostrare la propria gratitudine a Massimo Parisi: «(…) volevo ringraziare dell’impegno con il quale avete sostenuto mia figlia… una telefonata di ringraziamento era obbligatoria, lo sai che è uscita? e quindi è consigliera regionale? … senti l’importante che Maria Carmen ce l’ha fatta!». Una elezione accolta con favore dagli appartenenti alla criminalità organizzata, soprattutto da Tommaso Lovreglio che commenta: «A Lorusso consigliere comunale… una volta che va quella al consiglio comunale possiamo fare che il cazzo che vogliamo…». (g.curcio@corrierecal.it)

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