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l’intervista

«Maysoon in carcere senza alcuna colpa». L’integrazione difficile (e la speranza) nelle parole di Pegah Moshir Pour – VIDEO

L’attivista iraniana che dal 1999 vive in Italia racconta la sua storia a “In primo piano” su L’altro Corriere TV

Pubblicato il: 30/07/2024 – 7:00
«Maysoon in carcere senza alcuna colpa». L’integrazione difficile (e la speranza) nelle parole di Pegah Moshir Pour – VIDEO

LAMEZIA TERME Da un carcere all’altro, e sempre «senza una colpa»: la storia di Maysoon Majidi, detenuta a Reggio Calabria, viene citata dall’attivista iraniana Pegah Moshir Pour come esempio di ingiustizia nel corso della puntata di “In primo piano” in onda su L’altro Corriere TV. «Una scelta politica sbagliata porta a far rinchiudere in un carcere una ragazza di 27 anni, senza motivo».
«In carcere a Reggio Calabria c’è Maysoon Majidi, attivista detenuta in una prigione iraniana da cui è scappata con il fratello per sbarcare a Crotone e ora di nuovo in prigione con l’accusa di essere una scafista, un’accusa che non regge: ci sono incongruenze di alcuni testimoni che prima hanno detto delle cose e poi le hanno smentite», racconta a Danilo Monteleone.
Con il fratello, Maysoon aveva un permesso Unhcr per andare in Germania, dove il fratello è riuscito ad arrivare, mentre dopo sette mesi lei è ancora ferma qui in Calabria. «Oggi è deperita, ha voglia di farsi sentire e sta imparando l’italiano: la mediazione linguistica nei primi momenti non è stata fatta bene, ci sono state traduzioni sbagliate, solo due su 77 persone a bordo sono state ascoltate, e adesso si trovano in Germania e Gran Bretagna. Serviva solo accusare qualcuno in base al decreto Cutro?» si chiede ora l’attivista iraniana.
«Non si arriva così a individuare i veri trafficanti, che non si mettono sulle barche in quelli che io chiamo i viaggi del dubbio più che della speranza: non sai se arrivi o no…».

Da Teheran alla Basilicata

Pegah Moshir Pour è nata nel 1990 a Teheran, con il rafforzarsi del regime islamico e un futuro difficile all’orizzonte, la sua famiglia decide nel 1999 di trasferirsi in Basilicata: «E’ stato uno shock culturale – racconta ai microfoni de L’altro Corriere TV –, non vedevo i motivi del trasferimento in un posto che non sentivo mio. Ero abituata alla scuola femminile e non mista, ma la prima difficoltà era la lingua. In quarta elementare ero in una bolla, si ribaltava tutto, a cominciare dal senso della scrittura da sinistra a destra».
Lo stigma del terrorismo resta una delle «cicatrici», come i pregiudizi: «Una insegnante di mi definì una papabile terrorista e una persona pericolosa».
Pegah vive in una sorta di limbo che la vede lontana dalla terra natia ma estranea in quella che l’ha accolta. Ma oggi rivendica l’importanza del meltin’ pot.
«A 15 anni mi sentivo pienamente italiana e lucana», racconta, ma non le viene consentito di andare in gita, svanisce il sogno di andare a Londra da adolescente che studia al liceo linguistico. Non aveva ancora la cittadinanza italiana ma incassa il supporto da scuola e compagni («ma tu sei come noi!» le dicono), la cittadinanza italiana le sarà riconosciuta solo nel 2012, quando già frequenta l’università. «“Era ora”, pensai…». Oggi Pegah vive a Milano, dove si occupa di diritti umani e digitali.

Pegah Moshir Pour a Sanremo nel 2023

Sul palco di Sanremo

«Nel febbraio 2023, quando già raccontavo l’Iran e la mia prima cultura, non potevo restare in silenzio sulle proteste partite nell’autunno 2022: perciò sono salita sul palco di Sanremo, e ancora oggi ringrazio la Rai e Amadeus». Racconta all’Italia quella «dittatura teocratica» in cui «la generazione Z non si vede rappresentata, in una popolazione istruita e mediamente molto giovane (il 70% ha meno di trentacinque anni)», ma su cui grava un «pensiero matriarcale e maschilista della guida suprema»: le rivolte dopo l’uccisione di Mahsa Amini, ragazza curda iraniana, per via dell’hijab, danno vita al Movimento Donna Vita Libertà, un moto che si staglia come un vero e proprio «inno alla mobilitazione anche per chi ha fatto la rivoluzione del 1979, sentendosi oggi tradito» dalla piega che ha preso il regime.
Questo suo esporsi la collocherà quasi in una lista nera, tra «minacce e paura che possa succedere qualcosa – racconta – ma le forze dell’ordine non hanno mai smesso di sostenermi e darmi consigli su come muovermi, spesso vado in giro da sola».

Pegah Moshir Pour con Mattarella
Pegah Moshir Pour con Mattarella

La difficoltà di un’alternativa

Secondo Pegah Moshir Pour «per ora non c’è alcuna alternativa valida apprezzata dagli iraniani e che i leader internazionali riconoscano. Ali Khamanei non permetterebbe a un possibile oppositore nemmeno di candidarsi: i candidati sono scelti dai 12 fedelissimi della guida suprema, mossi dall’estrema obbedienza alla sua linea. Il gruppo dei guardiani della rivoluzione islamica (si parla di 200mila persone) è il braccio della guida suprema». Brogli elettorali e bassa affluenza sono il segno della disillusione popolare: «Non perdoneremo, continueremo e ripartiremo» questo il motto che fa sperare.
Nel libro “La notte sopra Teheran” ha descritto un mondo di diritti «che ho scoperto di non avere in Iran»: dispositivi negati come l’accesso ad alcune applicazioni e di conseguenza all’informazione, come accade in altre autocrazie come Russia, Cina e Corea del Nord. «Autoritarismi digitali contro cui le Big tech possono fare la loro parte», argomenta l’attivista invocando una sorta di cittadinanza digitale come diritto da riconoscere a tutti.
Incalzata sulla spersonalizzazione e superficialità dei social, Pegah Moshir Pour indica gli «stereotipi che si riversano e si ampliano sul digitale, dai canoni di bellezza al cyberbullismo, non ancora normati come si deve». Di qui la necessità di fare «divulgazione sulla consapevolezza di uno strumento pericoloso se non si usano le giuste precauzioni: se è vero che non abbiamo niente da nascondere, abbiamo le nostre identità da proteggere», dice.

Il firmacopie al suo libro “La notte sopra Teheran”

«Il mio posto è l’Italia. E l’Europa»

Infine la prospettiva: «In Iran tornerei da turista o curiosa o per progetti culturali, ma non per viverci, il mio paese è l’Italia e mi sento europeista da quando non avevo ancora la cittadinanza: vedo nell’Ue una casa comune abitata da più diversità e mossa da un unico obiettivo, soprattuto la pace, anche in questo momento storico, e la tutela dei diritti. Quello è il mio posto».
Su migranti economici e razzismo pensa che «la migrazione è da sempre insita nell’umanità, siamo il frutto di tante migrazioni e il nostro dna è un libro di storia. È sbagliato parlare di “invasioni” per propaganda politica: quelle – aggiunge – le vedremo tra qualche anno con le migrazioni climatiche che peggioreranno i flussi che già oggi cerchiamo di contrastare o nascondere come polvere sotto il tappeto. Sulle coste calabresi sono arrivate e continuano ad arrivare persone con ogni tipo di motivazione, dalla guerra civile alla persecuzione al servizio militare obbligatorio come in Iran, o per il proprio orientamento sessuale – in Iran si rischia l’impiccagione se si è omosessuali – o ancora per il semplice fatto di essere parte di una minoranza etnica come i curdi iraniani, perseguitati e considerati cittadini di serie Z, coi nomi convertiti in persiano. Proprio come per Mahsa».

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