LAMEZIA TERME Quando era il re dei videopoker le pareti della sua lussuosa abitazione erano ornate con una preziosa collezione di quadri: Salvador Dalí, Mario Sironi e Renato Guttuso, solo per citarne alcuni. Poi però Gioacchino Campolo ha visto sottrarsi tutte le opere che era riuscito a collezionare nel corso degli anni. A dare il “via”, il ritrovamento del prezioso “Miracolo di Gesù. Guarigione del nato cieco”, dipinto di carattere religioso-chiesastico, rubato a Randazzo, in provincia di Catania, nel 2001 e ritrovato qualche tempo fa a casa di un ex dipendente di Campolo, considerato il suo braccio operativo. Proprio alla luce dei rapporti che hanno sempre legato il sessantaquattrenne al re dei videopoker, gli investigatori avevano deciso di estendere la perquisizione ad un secondo appartamento dell’uomo, a Messina. È lì che i carabinieri avevano rintracciato tre tele del patrimonio Campolo, misteriosamente sparite dopo il sequestro ordinato dal Tribunale. Si tratta di una grafica di Guttuso e di due dipinti, uno di Giuliana Cappello e uno di Mario Pinnizzotto, artisti contemporanei estremamente quotati.
L’arte sottratta dalla criminalità al patrimonio pubblico è il filo conduttore di una stagione estiva che si è aperta con la mostra allestita nel Museo di Lamezia Terme in occasione della XIII edizione di Trame Festival, restituendo solo in parte la visione di un patrimonio inestimabile, attraverso un percorso composto da quarantaquattro opere, esposte abitualmente al “Palazzo Crupi” di Reggio Calabria, dove proprio qualche giorno fa sono state riproposte attraverso una iniziativa volute dal sindaco reggino, Giuseppe Falcomatà.
Gioacchino Campolo, morto a 82 anni nel 2021, era riuscito a costruire un impero da 330 milioni di euro, tra cui un appartamento nel cuore di Parigi e la sede del tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria. Nel 2013 era stato condannato definitivamente a 16 anni di carcere. A maggio del 2015 la confisca dei suoi beni disposta dalla Cassazione: oltre 260 appartamenti, tre società, 15 tra auto e moto. E la collezione di dipinti, la più importante tra le raccolte private da Roma in giù, finita poi in esposizione a Reggio Calabria.
Le inchieste antimafia degli ultimi decenni hanno fatto emergere molto spesso il “debole” dei boss della criminalità organizzata nei confronti dell’arte. Un simbolo, l’esposizione delle opere trafugate nelle proprie abitazioni, di potere e prestigio. Il percorso espositivo comprende, così, una serie di lavori che ci parlano anche del gusto personale dei mafiosi-collezionisti o del loro desiderio di accumulare arte di artisti affermati o di autori emergenti, opere uniche o tirature di grafiche, passando dalla pittura alla scultura, fino a opere installative o polimateriche.
Ma la storia racconta anche un aspetto altrettanto significativo ed emblematico, sottolineato anche in occasione della mostra lametina. Tra le tante opere collezionate, infatti, Gioacchino Campolo, appassionato d’arte, custodiva – senza neanche saperlo – 19 opere che in realtà, nonostante l’apparenza, erano dei falsi: 19 opere con le quali il re delle truffe, di fatto, era stato truffato a sua insaputa. Un atto audace quello compiuto da chi, ben conoscendo la caratura criminale del soggetto acquirente, gli ha comunque rifilato un falso. Il “re dei videopoker”, come raccontano le cronache, imponeva le sue macchinette truccate in tutta Italia «attraverso atti di estorsione e di concorrenza sleale perpetrati con la collaborazione di esponenti di spicco della criminalità organizzata». Figuriamo cosa sarebbe successo se avesse scoperto di aver acquistato dei falsi pagandoli a peso d’oro.
Tra i “falsi” più eclatanti c’è un Morandi, esposto a Lamezia in occasione di Trame, e poi un «Viso di donna» di Picasso in rosso e nero, con la firma in evidenza in basso a destra; un «Trovatore» di Giorgio De Chirico, manichino eretto su una delle misteriose piazze amate dall’artista. E poi cinque dipinti di Guttuso, tre opere su foglia d’oro di Fiume, paesaggi di Sironi: tutti firmati e timbrati con dichiarazioni di autenticità a fronte di una spesa di centinaia di migliaia di euro. Tra le opere false c’erano ancora i «Massi sul torrente» di Giuseppe Palizzi, il «Cane e pecora» di Filippo Palizzi, entrambi con dichiarazione di autenticità e addirittura due «Paesaggio sui monti innevati» di Sironi, identici, ma entrambi falsi. Non manca poi un Picasso, alcuni nudi come quello di donna con calze, a china, tempera e acquarello dell’artista siciliano Guttuso e i «Messicani su asini» e «L’Odalisca» di Salvatore Fiume, tutti oli su masonite dorata a sfoglia: tutti falsi e senza alcun valore. (g.curcio@corrierecal.it)
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