Ho sentito dire che molte guide portano i turisti a vedere i paesi abbandonati perché emanerebbero un fascino misterioso, compaiono improvvisi come i fantasmi, o rivelano una sorta di magia. Vorrei che non fossero queste le forme dello sguardo e degli accostamenti a questi luoghi. Vorrei che questi fossero considerati luoghi della memoria, luoghi di nuove forme di vita e non del mistero e del magico. L’unico mistero e l’unica magia qui derivano dalla storia che comunque le popolazioni hanno saputo scrivere. Lo ammetto. Non mi piace il termine fantasma per indicare i paesi abbandonati. Capisco che il termine è suggestivo, ha una sua carica evocativa, capisco che possa risultare anche un efficace slogan di tipo turistico e confesso che io stesso ho visto nel titolo di alcuni miei scritti, a mia insaputa e con tanto dispetto, il termine fantasma. Ma bisogna fare uno sforzo: questi luoghi ancora «sacri», non desacralizzati, hanno bisogno di visitatori con un sentimento, di persone che non vanno alla ricerca di fantasmi. Altrimenti è meglio che restino nei loro posti. Questi luoghi meritano guide locali che abbiano un vero sentimento del luogo e che non intendano ridurlo a spazio di operazioni di turismo deteriore. Altrimenti è meglio farli dormire, nasconderli fino a quando non verranno tempi migliori, uomini che sappiano trarre, davvero, lezione dalle rovine.
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