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l’inchiesta

‘Ndrangheta, l’amarcord di Caminiti tra incendi e spari a Milano. All’ombra di “‘U Dutturicchiu”

Il legame ultradecennale tra Calabrò, a processo per l’omicidio Mazzotti, e il gioiese. In una intercettazione i racconti delle vecchie “scorribande”

Pubblicato il: 03/10/2024 – 6:57
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, l’amarcord di Caminiti tra incendi e spari a Milano. All’ombra di “‘U Dutturicchiu”

MILANO C’è un capitolo specifico nell’inchiesta che la Dda di Milano ha condotto contro i capi ultrà e i loro gruppi delle curve dell’Inter e del Milan a San Siro ed è dedicato alla gestione dei parcheggi attorno allo stadio. È da qui che, come un ideale percorso, l’accusa risale ad alcune figure chiave in grado di scardinare elementi sui quali, finora, non è stata fatta luce lasciando qualcosa nell’ombra. Secondo l’accusa, sostanzialmente in mano a Giuseppe Caminiti, classe ’69 di Gioia Tauro, e Gherardo Zaccagni (cl. ’71), il primo finito in carcere mentre per il secondo il gip ha disposto gli arresti domiciliari. A latere gli inquirenti individuano le figure di Beretta e Boiocchi, quest’ultimo ucciso due anni fa mentre il primo era già in carcere per l’omicidio avvenuto un mese fa del rampollo della famiglia di ‘ndrangheta dei Bellocco, Antonio.  

“’U Dutturicchiu”

In questo scenario apparentemente lineare entra in gioco una figura di assoluto rilievo e ampiamente nota agli investigatori. Si tratta di Giuseppe Calabrò, da decenni intraneo negli ambienti della mala milanese legati alla ‘ndrangheta calabrese. “’U Dutturicchiu”, infatti, vanta legami familiari con diversi esponenti di alcune ‘ndrine della provincia reggina.
Dall’accusa il classe ’50 di San Luca è considerato «soggetto intraneo alla ‘ndrina degli “Staccu” di San Luca rappresentata dall’”Avvocaticchiu” Antonio Romeo (cl. ’54) marito proprio della sorella di Giuseppe Calabrò, figlio del capostipite della ‘ndrina “Staccu”. I suoi legami familiari, diretti e indiretti, lo riconducono a soggetti più o meno noti della ‘ndrangheta calabrese nella Locride, da San Luca ad Africo e Platì, dai Pelle-Gambazza ai Mollica-Morabito.
“’U Dutturicchiu”, ad oggi, non ha condanne per associazione di tipo mafioso ma ha precedenti per “associazione finalizzata al traffico di stupefacenti” e “traffico di stupefacenti”. E, soprattutto, Giuseppe Calabrò è a giudizio in Corte d’Assise a Como nel nuovo processo sul rapimento e omicidio di Cristina Mazzotti avvenuto nell’estate del 1975. È accusato di «aver partecipato attivamente al sequestro insieme ad Antonio Romeo, Demetrio Latella e Antonio Talia, con l’accordo che Calabrò li avrebbe successivamente contattati».  

mini minor sequestro mazzotti

I rapporti decennali con Caminiti

L’attività investigativa svolta nei suoi confronti dalla Dda di Milano avrebbe permesso, dunque, di individuare, nel mese di dicembre 2019, contatti con il corregionale Giuseppe Caminiti. Ma, sottolineano i pm, «i loro rapporti iniziavano tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90, quando cioè il giovane Caminiti muoveva i primi passi all’interno dell’organizzazione criminale diretta dallo zio Salvatore Papandrea» si legge. «(…) ’88 avevo 18 anni… sì, sì, ma ero già con lui io eh!… ero già con lui…». Secondo gli inquirenti Caminiti «è quindi personaggio dal rilevante trascorso criminale».
Grazie allo zio – sempre secondo l’accusa – il giovane Caminiti si «sarebbe avvicinato a Giuseppe Calabrò con cui il sanlucota aveva stretti rapporti», un legame che gli avrebbe consentito negli anni una certa rispettabilità e protezione «per tutelare i propri interessi economici, in particolare quelli derivanti dalla gestione dei parcheggi dello stadio “San Siro” di Milano», annotano i pm.
«(…) è il mio compare… quello che mi conosce a me da bambino che è quello che mi ha detto a me “qualsiasi persona viene a dirti qualcosa dello stadio, tu non fai altro che dire “sono compare di tizio” che poi me la vedo io su tutto” …». Così in una intercettazione captata dalla pg parlava Caminiti nel 2020.

La gelateria a fuoco

Caminiti, inoltre, racconta a dei conoscenti anche di alcune azioni di cui si sarebbe reso protagonista. «(…) c’era una gelateria… mio zio inizia a restaurare… “perché non compriamo la gelateria, facciamo la tabaccheria, spostiamo la tabaccheria di qua, la prendiamo di là”» «(…) “vai a parlare… vai a parlare” … non c’è stato verso!» e «la signora mi fa “mi dispiace .. io non vendo, non vendo a nessuno”». Il racconto di Caminiti prosegue: «(…) sono andato lì, c’è un benzinaio di fronte al bar… ho preso una latta di benzina… arrivo con ‘sta tanica e ho detto “sto arrivando”… arrivo con la tanica, prendo, entro dentro la gelateria… metto la tanica per terra, tiro giù le serrande… “allora sono due le cose: o vendete e firmate qua adesso il compromesso o inizio a buttare benzina con voi dentro”». L’episodio secondo la Dda ha avuto un preciso riscontro e risalirebbe al 9 ottobre del 1989 con l’intervento dei Vigili del fuoco a Milano presso una gelateria, «poi ceduta effettivamente a Salvatore Papandrea», si legge.



La Bentley e l’inseguimento a colpi di pistola

I racconti di Caminiti non si fermano e, nella stessa conversazione, riferisce di un altro episodio commesso contro un benzinaio a cui lui stesso aveva portato a lavare la sua Bentley.  Secondo quanto raccontato da Caminiti, alla sua richiesta, il benzinaio si sarebbe reso indisponibile data l’ora tarda –erano le 17.30 o le 18. «(…) dicevo “mi lavi la macchina?” “cazzo Pino però… sono le sei! No, oggi non te la lavo” “come non me la lavi! Lavami la macchina!” “no, no, non posso… oggi.. son le sei, vieni prima…” e ho detto “va bene, non c’è problema…”». Il diniego sarebbe stato visto da Caminiti come un affronto e, per questo, nottetempo si sarebbe recato al distributore e lì avrebbe dato fuoco ad alcune strutture. «(…) la capannina e tutto quanto… e gli abbiamo dato fuoco al benzinaio…», dice proprio Caminiti nella conversazione. Un altro racconto fornito da Caminiti durante la conversazione intercettata dalla pg si lega ad un altro episodio «emblematico» secondo la Dda di Milano e risalente, ancora, ad alcuni anni fa. Un suo amico, per scherzo, avrebbe fatto finta di investirlo mentre si trovava con altri soggetti. Per questa stessa ammissione, Caminiti dice che era armato e che «si sarebbe posto all’inseguimento dell’uomo a bordo della sua Lancia Delta HF Integrale, esplodendo diversi colpi d’arma da fuoco» annotano i pm. «(…) mi sono caricato in macchina… te lo giuro, tipo film, roba americana… e mentre guidavo, te lo giuro, dal finestrino pom, pom, pom… si è fermato, quattro frecce, è sceso: “Pino sono io! Sono io!” e gli ho dato una centra in faccia e gli ho detto “non ti permettere mai più a fare sti scherzi! Rischi di morire! Testa di ca**o!”».  (g.curcio@corrierecal.it)

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