«Ero rimasto con soli 1000 euro, avevo speso tutti i risparmi per aprire un ristorante a casa mia, il sogno della vita». Occhi vivi, volto disteso, lo chef Leonardo Barberio, trentaseienne, sorride e si racconta mentre sorseggia un caffè cremoso in un locale à la page di San Giovanni in Fiore, di cui è originario. Da adolescente, Leonardo aveva lavorato in diverse cucine del Crotonese, per guadagnare i soldi necessari allo studio e all’aggiornamento continuo; a conoscere indirizzi, culture e orizzonti della gastronomia; ad acquisire le basi idonee a lanciarsi nella ristorazione in proprio. Sacrifici, consapevolezza, visione. E la «doppia sfida personale»: viaggiare in modo da formarsi bene e poi rientrare nella propria terra per contribuire alla crescita collettiva con una cucina originale di qualità, successo, richiamo.
Diplomato all’istituto alberghiero di Soverato, nel 2007 il giovane parte per Coventry, in Inghilterra, insieme al suo amico Cristian, altro sangiovannese. È un’occasione d’oro per impratichirsi, perfezionare la lingua anglosassone, incrementare le entrate e capire le abitudini degli inglesi: ai fornelli, a tavola, nel quotidiano. Nel 2009 Leonardo si iscrive all’Alma, scuola internazionale di Cucina italiana ubicata nel palazzo ducale di Colorno (Parma) e a lungo diretta dal grande Gualtiero Marchesi. Lì il ragazzo impara che ogni piatto si crea, come diceva Marchesi, «partendo dal perché» e comprende l’importanza delle materie prime per il palato e il benessere del cliente. Poi si concentra sugli impasti, tra i fondamenti della cucina, e ne sperimenta regole e segreti, affascinato dalle loro alchimie.
Leonardo completa il percorso all’Alma e, data la reputazione della scuola, subito viene chiamato nell’area del Garda: dalla storica Bardolino all’incantevole Sirmione e oltre. Dopo trova posto a Verona e più avanti in varie località del Trentino-Alto Adige. «Avevo alle spalle – precisa lo chef – 14 stagioni estive e otto invernali: una fatica immane perché gli orari dell’estate erano quasi ininterrotti e dovevi essere efficiente ed efficace ogni giorno. Era il momento di tornare a casa, di costruire il mio futuro a San Giovanni in Fiore, di mettermi in gioco, di portare nella mia comunità tutto il bagaglio personale di saperi, sapori, idee e motivazioni legato alla mia progettualità. Per me il ritorno era rimasto un pallino fisso, non avevo mai dubitato delle mie intenzioni né perduto la meta del Sud».
Sentire queste parole fa effetto, soprattutto davanti all’incertezza del presente, allo spopolamento delle aree interne, ai giudizi prevalenti sulla Calabria; in cui, va riconosciuto, in genere si preferisce l’assistenza pubblica all’intraprendenza privata. Nel 2015 Leonardo era rimasto colpito da un ristorantino che affaccia sull’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore, dove aveva cenato con amici. Gli era piaciuta la posizione, l’odore di antico del quartiere “Curtigliu” – a forma di spirale come il Draco magnus et rufus di Gioacchino da Fiore – e delle mura del locale, già oggetto di ristrutturazione. Nel 2019, lo chef avvia la trattativa per comprare l’immobile e la licenza. A febbraio 2020 conclude l’accordo, poi arrivano il Covid e lo stop forzato. Pertanto, con un investimento di circa 100mila euro, il giovane riattrezza la cucina e realizza un forno di sua progettazione per proporre la pizza contemporanea, che, spiega, «si basa su nuovi sistemi di impasto e, per quanto mi riguarda, sulla selezione e lavorazione delle farine». Tuttavia, Leonardo deve attendere il Primo maggio 2021, per iniziare l’attività. «Non c’era data migliore per festeggiare il valore del lavoro», commenta. Era ancora il periodo delle mascherine, dei timori, dei cibi da asporto. «Ma – ricorda il ragazzo – avevo una fila interminabile, all’esterno, per la leggerezza, la fragranza, la digeribilità e la bontà della mia pizza».
Da allora, lo chef – anche grazie al laboratorio ricavato di fronte al suo ristorante – crea abbinamenti con prodotti del territorio, punta sul biologico, prepara tortellini, tortelloni, ravioli e raviolacci ripieni di selvaggina, carne di struzzo, ricotta di capra e porcini, funghi disidratati e fermentati. Ancora, Leonardo inventa particolari farciture delle pizze, prosegue la ricerca sugli impasti, parte spesso per frequentare corsi specifici e ha pronto il «”forno verde” con gli ortaggi della zona, coltivati secondo la tradizione contadina del luogo». Il suo piatto forte è però «il padellino», ispirato dai consigli della nonna Barbara, che gli aveva descritto una pietanza tipica degli abitanti di Lorica, in cui l’anziana viveva in mezzo alla natura. «L’ho ricreata – chiarisce lo chef – impastando farine di ceci e grano, tassativamente biologiche. La cottura avviene poi al vapore, all’interno di un tegamino. È un lievitato alternativo che condisco intanto con porcini, culatta di suino nero, scaglie di tartufo, una mousse di pecorino e una riduzione di basilico. Ho battezzato le sue versioni principali con i nomi “Da dove veniamo” e “Ricordo di infanzia”, per ribadire che il futuro dipende dal passato».
Pieno di stupore per la propria terra, Leonardo è aiutato da alcuni giovani, tra cui Desirée, ragazza salernitana innamorata della Sila; Luigi, cantautore ed ex cameraman della tv nazionale; Alessandro, che in località Serrisi si dedica, nel tempo libero, all’agricoltura di nicchia privilegiando la patata a pasta viola. Il gruppo è affiatato «e – sottolinea lo chef – partecipe degli sforzi incessanti per elevare la qualità del servizio, l’unico obiettivo di chi crede che il lavoro renda liberi». Leonardo ha una biografia di emigrazione, volontà, ingegno, carisma. Di amore per le radici. A San Giovanni in Fiore e dintorni è un periodo felice nel campo della ristorazione. Lo chef Antonio Biafora ha confermato la stella Michelin e ottenuto quella verde per l’impegno nella sostenibilità ambientale. Studio, cura dei dettagli, coraggio e determinazione si stanno imponendo in questo settore. Oggi esiste una marcata consapevolezza delle potenzialità turistiche e ricettive della Sila, favorita dalla competizione costruttiva tra giovani professionisti, che si stimano a vicenda e collaborano fra di loro. Vincenzo Ammirati, per esempio, è un pizzaiolo che si è fatto notare al Festival di Sanremo e Federica Greco, di cui avevamo scritto (leggi qui), è un’apprezzata pasticciera nel panorama italiano. Sono ragazzi che sognano lo sviluppo sostenibile del territorio, che lavorano per questa causa. Senza rumore, senza paura, senza complessi di inferiorità. (redazione@corrierecal.it)
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