Renato Greco se n’è andato alla vigilia del congresso che ha celebrato i sessant’anni della “sua” Magistratura Democratica, corrente si sinistra, quelle delle toghe rosse cui aveva sempre partecipato con dedizione e con profondo di senso di appartenenza. Se ne va una figura di magistrato da tramandare e che aveva nella cultura giuridica e umanista la sua cifra insieme alla gentilezza e all’ironia tipicamente calabrese che nei suoi 82 anni di vita ha diffuso con condivisa riconoscenza anche da chi da chi era lontano dalle sue idee e ideologia per uno come lui saldamente ancorata ai principi della Costituzione.
Originario di Amantea, anche se il suo caro amico, il professore Alfonso Lorelli ha fatto notare su Facebook: «questa nostra città è stata avara nel riconoscere le altissime doti e capacità di questo suo illustre concittadino».
Non cercava i riflettori Renato Greco ma la sostanza anche nel suo giovanile ruolo di pretore d’assalto nella turbolenta Milano degli anni Settanta. Tornò a Cosenza come pretore del Lavoro nel momento in cui il recente Statuto dei lavoratori cominciava a cambiare il corso della Storia, riconoscendo spesso nelle sue sentenze il diritto dei dipendenti contro il padronato. Con serietà fece carriera e approdò ad essere presidente della Sezione del Lavoro alla Corte d’Appello di Catanzaro. Sentenze che fecero discutere quelle del giudice Greco che partecipò al rinnovamento del Diritto da fine giurista. Ha concluso la sua carriera da presidente del Tribunale di Cosenza, da molti apprezzato, era naturalmente predestinato a presiedere la Corte d’Appello a Catanzaro, ma il Csm evidentemente non giudicava affidabile un giudice terzo come Greco, e fu pollice verso senza che lui commentasse amaramente come forse doveva.
Fu chioccia affettuosa per molti giovani magistrati, molto vicino a Cesare Roberti, ma anche ad Emilio Sirianni che lo ha ricordato sul sito nazionale di Magistratura democratica e a Stefano Musolino che ne ha tracciato un appassionato tombau sul Manifesto. Il suo ragionamento risuonò sempre nei convegni e nelle assemblee “imponendo sempre a tutti rispetto per il solo fatto di essere quello che era e senza avere mai dovuto alzare, anche solo di un tono, la sua voce ironica e gentile” chiosa giustamente Sirianni. Prese parte alla campagna referendaria del Divorzio, e non mi sembra casuale che da presidente del Tribunale, il 17 giugno del 1984, a 30 anni dall’infame arresto di Enzo Tortora in manette a beneficio di paparazzi, egli presenziasse l’intitolazione al presentatore dei giardini del Palazzo di Giustizia di Cosenza. Un garantista autentico come hanno ricordato anche gli attivisti guachistes de “La Base” che ne hanno voluto ricordare “la solidarietà che espresse ai militanti delle lotte sociali colpiti da atti repressivi e montature”.
Intellettuale di gran spessore. Fu nel comitato delle riviste di Magistratura democratico e scrisse saggi segnanti. Si distinse un articolo del 2002 scritto per il Ponte, la rivista fondata da Piero Calamandrei intitolato “La giustizia al tempo di Berlusconi” in cui da fine giurista aveva profetizzato “Il Diritto del lavoro accentuerà il suo declino e sarà destinato ad essere ricacciato alla periferia del Diritto civile dalla quale era faticosamente uscito alla fine dell’Ottocento”. Da magistrato in pensione non aveva fatto mancare la sua adesione contro il progetto di separazione delle carriere. Significativo il ricordo dell’Ordine degli avvocati di Cosenza che ha scritto “il suo sorriso, accogliente e rassicurante, unito al suo modo signorile di amministrare la Giustizia, ha fatto di lui un punto di riferimento per molte generazioni di avvocati, anche nei momenti di fisiologica contrapposizione tra magistratura ed avvocatura che ma ha alimentato”. Fu anche docente all’Università della Calabria.
Da pensionato si dedicò alla cultura, trovando un bel e motivato ruolo come giurato nel rinato Premio Sila di Enzo Paolini, e tra i molti critici di mestiere si distinse ancora una volta per capacità di analisi e certosina disamina dei testi selezionati. C’era un giudice a Cosenza. Si chiamava Renato Greco. Che non sia dimenticato. (redazione@corrierecal.it)
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