‘Ndrangheta, la potenza di fuoco dei Mazzaferro: un arsenale nelle disponibilità del clan. «Abbiamo armi pregiate»
Dalla Dda di Roma i riferimenti all’operazione “Circolo formato”. Il ruolo di Nicolò Sfara: «Reperiva armi e munizioni»

ROMA Un vero e proprio arsenale di armi a disposizione della cosca di ‘ndrangheta Mazzaferro, il clan di Marina di Gioiosa Ionica che dalla Locride è stato in grado di espandersi con ramificazioni nel nord Italia e all’estero. La potenza di fuoco su cui il clan poteva contare viene raccontato nelle pagine dell’ordinanza dell’inchiesta scattata a Roma che ha portato all’arresto di 25 persone. L’operazione della Dda capitolina ha svelato le fitte trame di interessi e relazioni tra esponenti del clan con imprenditori del territorio per il controllo di società “serventi” la commercializzazione di prodotti petroliferi per la realizzazione di frodi fiscali. E nelle oltre 300 pagine di ordinanza si parla anche dell’interesse per le armi di Nicolò Sfara (classe ’94), detto “Leone-Francesco-Silvio-Bruno”, nipote del defunto boss Giuseppe Mazzaferro e dell’attuale reggente, il boss Rocco Mazzaferro (cl. ’64). Nel corso di alcune conversazioni intercettate in ambientale si evince, infatti come Sfara «a riprova del ruolo riconosciutogli nell’ambito del sodalizio, si adoperava per reperire armi e munizioni di provenienza illecita».
L’arsenale del clan: «Abbiamo armi pregiate»
Nell’inchiesta romana si fa riferimento a quanto raccolto in inchieste precedenti sul clan reggino. «Abbiamo armi pregiate… armi pregiate». A dirlo nel 2008, nel corso di una conversazione intercettata e finita nelle carte dell’inchiesta “Circolo formato”, è un giovanissimo Nicolò Sfara. Il riferimento è alla festa di fine anno (31 dicembre 2008) che si è svolta sul retro dell’abitazione della casa paterna di Rocco Mazzaferro (che affaccia su terreni coltivati ad agrumi), dove erano state installate apparecchiature tecniche per le intercettazioni. Dalla conversazione emerge che un tale Tonino, con accento romano ma non identificato, era arrivato da poco e aveva utilizzato addirittura una valigetta per trasportare sul posto le armi e le munizioni. Tra le varie, l’uomo aveva portato anche «una quarantacinque con sistema di puntamento laser, un vero e proprio “bazooka”».
«La cosca e, per essa, i suoi affiliati, disponeva di un vero e proprio arsenale», scrivono i giudici, che sottolineano: «L’assortimento era certamente vasto e vario e ne discende logicamente la considerazione che si tratti di arsenale riconducibile alla cosca Mazzaferro. Tanto non solo per la sua vastità e varietà, ma anche perché appare assolutamente impensabile che Mazzaferro Rocco potesse avere “autorizzato il porto ” e consentito l’ingresso e la permanenza di un arsenale di tale fatta presso un luogo ricadente nella sua disponibilità familiare senza averne avuto in qualche misura paternità». E tra le principali attività illecite svolte dal clan risultano, fin dalle origini, il contrabbando delle sigarette, i furti, le truffe, la fabbricazione e lo spaccio di banconote false, le rapine, le estorsioni, il traffico di sostanze stupefacenti e di armi.
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Nel corso di una conversazione datata gennaio 2021 e finita nell’inchiesta romana, emerge come Sfara – e quindi la cosca Mazzaferro – avesse disponibilità di armi. Il 30enne infatti parla con alcuni soggetti non identificati interessati alla compravendita di armi e munizioni. «Ma tu li hai provati tutti i colpi qua?“», chiede l’interlocutore a Sfara. «Gli posso portare un pacco da sette, eh, eh. Più di questo non posso dire… ’’, prosegue la conversazione. «Quando spara la botta, la botta si, si comprime nella canna, si fa, sai come si fa, la mezza. Quindi. Questo è un… inc. le. ., questi li abbiamo caricati un’altra volta, questi vanno, vanno al mille per mille, a meno che non li avete messi nell’acqua…». (m.ripolo@corrierecal.it)
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