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l’altra calabria

“Calabria felix”: Franca Crudo, la contadina che fa amare la tradizione

Parla in dialetto, porta il grembiule e il fazzoletto in testa, e insegna ad amare la più umile e genuina tradizione calabrese

Pubblicato il: 25/11/2024 – 7:28
di Francesco Bevilacqua*
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“Calabria felix”: Franca Crudo, la contadina che fa amare la tradizione

Fu Dominique Vivant Denon, artista, scrittore, diplomatico francese che nel 1778 viaggiò in Calabria per conto dell’Abate di Saint-Non per raccogliere notizie e suggestioni su una terra allora incognita, a coniare il termine di “Calabria felix”. Egli si riferiva alla feracità, ossia alla fecondità delle campagne e dei luoghi incontrati sul suo cammino. Scrive Denon, ad esempio: “È davvero sorprendente scoprire in questo santuario della miseria il più bel paese che la terra abbia mai prodotto; è l’aspetto della terra promessa vista dal deserto; un’immagine dell’età dell’oro, del paradiso terrestre”. E il racconto di quel viaggio è tutto un elogio su questa condizione quasi primeva della Calabria che nessuno crederebbe possibile oggi. Primi fra tutti i calabresi, che sono i più pervicaci creatori dell’immagine negativa che li opprime e li deprime.
E infatti, se qualcuno chiedesse a un calabrese, incontrato magari in un bar, cosa c’è di ferace, di fecondo, di interessante nel suo paese, con molta probabilità si sentirebbe rispondere: “questo posto non vale nulla” e/o “qui non c’è niente”. Un’alta percentuale dei calabresi, infatti, sa poco o nulla della Calabria e del luogo in cui vive. Eppure, in Calabria viene tanta gente non solo a fare il classico turismo mordi e fuggi, ma anche a visitare parchi archeologici e naturali, a vedere monumenti, a scoprire tradizioni. E qualcuno, benché ai calabresi questo non importi, in Calabria viene pure a viverci, oppure ci rimane, impara ciò che su questa terra nessuno gli aveva mai raccontato, in famiglia o a scuola, fa della Calabria una “patria”, nel miglior significato di questo termine tanto frainteso: un luogo dove mettere radici, dove sentirsi a casa, da amare con tutti i suoi difetti, da rendere migliore con il proprio impegno quotidiano che io chiamo, con un neologismo, “oikofilia”, dal greco antico: “amore per la casa”.

Franca Crudo e l’amore per la sua terra

Esattamente di questo ci occupiamo, nella rassegna “La Calabria è un destino: restare, tornare, approdare” con l’Associazione Amici dell’Antico Mulino delle Fate di Lamezia Terme, nella quale intervistiamo persone che sono rimaste, sono tornate o sono approdate in Calabria svolgendo attività utili non solo a sé stesse ma anche alle comunità ed ai luoghi. Fra queste persone, ve n’è una che pratica attivamente l’“Oikofilia” senza aver mai sentito nominare il mio neologismo. Si chiama Franca Crudo, la piccola donna sorridente di Zungri, che parla in dialetto, porta il grembiule ed il fazzoletto in testa delle contadine calabresi, insegna ad amare la più umile e genuina tradizione calabrese. Ho conosciuto Franca Crudo – e l’ho, da ultimo, intervistata al Mulino nella rassegna citata – dai suoi seguitissimi profili social.
Molte persone vanno a trovarla nel suo podere, che lei chiama “pagliaru”, dove coltiva la terra, accudisce un orto, fa il pane come cento anni fa, cucina, produce tante cose, fra cui una deliziosa essenza dai fiori della Ginestra comune, detta anche Ginestra odorosa, che è poi quella dai cui fusti si traeva una fibra un tempo utile alla tessitura. La ginestra da cui prende il nome l’associazione creata da Franca, Asfalantea, che è poi il marchio di tutte le sue attività divulgative.
Ma qual è la storia di questa donna singolare? Da piccola, Franca portava le pecore al pascolo, costruiva i fischiotti di canna, intagliava il legno, suonava le foglie d’erba. Poi si è sposata e ha messo su un negozio di bomboniere. Per amore della musica ha creato la prima banda musicale di sole donne d’Italia. Poi ha aperto una piccola gioielleria. Nel frattempo ha fatto tre figli che oggi lavorano e vivono in Calabria, a Zungri, il suo paese di nascita, il suo guscio, la sua fucina, il suo pagliaro. Poi, insieme ad altri, ha valorizzato l’abitato rupestre di Zungri, sino ad allora considerato una specie di porcilaia. Poi ha ripreso a coltivare i grani locali ed a produrre pane con il lievito madre, ha aperto le porte della sua piccola azienda contadina a visitatori che vengono da tutto il mondo. Poi ha prodotto il profumo di cui ho detto. Poi ha coltivato e promosso l’Aglio di Papaglionti (che dice essere importante quanto la stessa Cipolla rossa di Tropea). Poi è divenuta una anti-influencer sui social.
Su questo dice: “gli influencer si mostrano sui social come non sono per invogliare la gente a trasformarsi in ciò che non è. Io, invece, sto sui social per come sono realmente, per aiutare gli altri a ritrovare sé stessi, a capire le loro origini, ad amare i propri territori”. Insomma, Franca Crudo è la più semplice e genuina fra le persone che, con ciò che fanno, dimostrano che non è vero che in Calabria non c’è niente, che questa terra non vale nulla, e che, invece, traendo linfa dal suo passato si può anche creare futuro: come diceva Carlo Levi “il futuro ha un cuore antico”. E forse proprio di persone così c’è bisogno al Sud e in Calabria in particolare, se è vero che i profili social di Franca sono seguiti da decine di migliaia di persone entusiaste che guardano alla tradizione calabrese come se la vedessero e la apprezzassero per la prima volta, come se vi ritrovassero quei sé stessi di cui forse si vergognavano.
La storia di Franca, umile, ironica, vulcanica contadina di Zungri tanto distante dagli intellettuali che emettono sentenze sulla Calabria senza mai sporcarsi le mani con battaglie che possano cambiarla, tanto estranea al mondo istituzionale ed alle élite del successo, scardina tutti i luoghi comuni che gravano sulla regione e ci invoglia a spenderci per questa terra tanto malfamata ma anche, ancora, tanto fraintesa, tanto irredenta.

*Avvocato e scrittore

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